Pianta e sezione del Duomo di Milano, dettaglio della parete orientale della sacrestia nord
Autore
[Antonio di Vincenzo]; AnonimoTitolo
Pianta e sezione del Duomo di Milano, dettaglio della parete orientale della sacrestia nordDatazione
XV secolo
Collocazione
Bologna, Archivio della Fabbriceria di San Petronio, cart. 389, 1
Dimensioni
470x330 mmTecnica e Supporto
Disegni tracciati a mano libera con matita (tracce), penna e inchiostro bruno su supporto cartaceo di leggero/medio spessore (bifoglio in origine piegato). Filigrana con fiore a cinque petali (attestata da Briquet, 1923 e Piccard, 1982 tra il 1413 e il 1446)
Scala
Non espressaIscrizioni
Recto, in alto: «Nota che le nave pizole sieno large piedi xxv e unze otto comenzando dal mezo del pilastro alaltro mezo e cossì sono poste tuti li pilastri per quadro.
Nota che li quatro pilastri grosi che sono in mezo la croxiera zoe di la truna sono grose piedi sette onze otto zoe piliando tuti li botazi.
Tuto el resto de li pilastri sono grose piede sette onze una».
In corrispondenza dell’altare maggiore: «Da mezo questo pilastro alaltro mezo sie piede L.I onze iiii».
Nella pianta del transetto sinistro, in verticale: «piedi xxv onze viii»; «piedi L.I onze iiii».
Nel resto della pianta: «piedi xxv onze viii»; «piedi xxv onze viii»; «piedi xxv onze viii».
Nella sezione da sinistra a destra: «Va alta la cupola del mezo braza C.XIII»; «braza xxx melanese piiando el capitelo»; «braza xxxx perfino soto el capitelo».
Sopra il capitello della navata minore: «braza x».
Sopra il capitello della navata maggiore nella sezione: «braza x»; «braza iii»; «braza vi».
Verso: «Alteza di Santa Maria Rotonda da Roma sie braza lxxvi milanexi. Largeza de dita sie braza lxxvi. Alteza de San Lorenzo da Milano sie braza lxxvi. Largeza de detta chiexa sie braza otanta».
Notizie
Il recto e il verso di questo disegno sono considerati di importanza capitale per lo sviluppo del progetto del Duomo nel tardo Trecento. Gli esperti sono grosso modo d’accordo che fino al 1392 ci fosse un progetto iniziale ad quadratum con un stacco forte tra l’altezza delle navate laterali e quella centrale. In seguito alla riunione del 1 maggio 1392 s’iniziò una seconda fase perché fu approvata la versione revisionata del progetto ad triangulum di Gabriele Stornaloco presentato nel tardo 1391 con un’inclinazione progressiva delle navatelle verso il centro, cioè una struttura con tre differenti coperture per lato, non due (Annali 1, p. 68). Il progetto di Stornaloco era misto: ad triangulum, con triangoli equilateri alti 14 unità su basi di 16 e i loro multipli, e ad quadratum, con una griglia di quadrati delle stesse dimensioni.
La sola fonte per l’ipotesi di un progetto squisitamente ad quadratum prima di quello di Stornaloco è questo foglio quasi sempre attribuito ad Antonio di Vincenzo da Bologna e di solito datato al 1390 sulla base di una presunta visita di Antonio a Milano per studiare il Duomo in preparazione per il suo progetto per San Petronio a Bologna.
Beltrami pubblicò il disegno datandolo al 1390 perché nella pianta le porte delle sacristie si trovano nella posizione errata vicine ai piloni della crociera, da dove, secondo lui, erano spostate nel 1391 alle loro posizioni attuali accanto ai piloni attaccati ai muri più vicini all’abside (Luca Beltrami e il duomo di Milano, 1964, pp. 127-132). Questa datazione fu la base dell’ipotesi di Beltrami che le dimensioni dell’alzato del Duomo fossero già stabilite prima dell’arrivo di Stornaloco verso la fine del 1391, e che quindi Stornaloco non ebbe alcun influenza sul processo di progettazione della chiesa. Beltrami, anche se non si esprime esplicitamente sullo schema dell’alzato rappresentato nel disegno, crede che il disegno presenti uno schema ad triangulum. Boito, al contrario, suggerì che si tratta di un alzato ad quadratum basato su moduli di 16 braccia (larghezza) e 10 braccia (altezza) (Boito, 1889, p. 115), idea accettata da quasi tutta la storiografia fino ad oggi. Frankl elabora l’argomento selezionando alcune dimensioni indicate sul disegno, ma solo quelle divisibili per 10 (10, 30 e 40), e include 50 e 60, numeri a cui è arrivato aggiungendo insieme alcune delle dimensioni presenti sul disegno: inoltre, in sostegno della sua ipotesi di base, propone 90 per l’apice della volta della navata grande. Frankl quindi ipotizza un alzato basato su un modulo o “Great Unit” di 10 braccia per cui credeva che una pertica o regola di 5 braccia (2.97 metri = “Great Unit”) potrebbe essere usata in cantiere (Frankl, 1945, pp. 51-52). Ackerman in seguito adotta questo schema di 10x16 braccia per rinforzare la sua opinione che l’edificio sia proseguito in modo disordinato (Ackerman, 1949, p. 89). Romanini (1974, pp. 166-167, 378) parla di un «libero e irregolare schema triangolato» in cui «non mancava però unità di misura, ad ordinare, anche se in modo approssimativo, la scansione dell’edificio in altezza. Tale unità di misura era stata fissata infatti nella misura di dieci braccia “milanesi”». Antonio Cadei (1974, pp. 157-170) accetta l’ipotesi di uno schema ad quadratum e poi propone che «al livello delle volte tale unità sembra passare a nove braccia col risultato che, postulando per le volte maggiori un’altezza di 27 braccia pari a tre unità, si ottiene la razionalizzazione in interi più vicina all’altezza di un triangolo equilatero di 32 braccia di base, che è appunto la larghezza della navata maggiore del Duomo (p. 162)». Non è chiaro perché Cadei pensi ad unità di 9 braccia e un’altezza di 27 braccia per le volte della navata grande di cui l’altezza totale, secondo la sua ipotesi, dovrebbe essere 60+27=87 braccia; né perché 27 potrebbe essere un’approssimazione usando un numero intero per l’altezza di un triangolo equilatero con base di 32, per cui l’equivalente sarebbe 27.7. Anche l’ultimo studioso ad occuparsi dello problema, Valerio Ascani, accetta lo schema di 16x10 ma comincia ad esplorare l’affascinante possibilità che i nostri disegni siano copie (Ascani, 1991, pp. 105-115; Ascani, 1997, pp. 115-117).
Note critiche
Ma la datazione ormai tradizionale del disegno è certamente sbagliata e l’ipotesi che l’alzato sia uno schema ad quadratum 16x10 è più che fragile: inoltre ci sono forti dubbi che i disegni siano originali e non copie. Si può invece dimostrare che si tratta di uno schema ad triangulum, infatti una versione storpiata da errori assai banali dello schema di Stornaloco II, ovvero la versione del primo progetto misto di Stornaloco del 1391 aggiustato alla riunione del 1 maggio 1392.
La datazione. Le amministrazioni delle grandi cattedrali tenevano documentazioni meticolose su dove e quando i loro capomastri lasciano i cantieri. Non c’è traccia nei documenti su San Petronio di una visita di Antonio a Milano nel 1390: invece gli amministratori ricordano in dettaglio le sue visite al Duomo di Milano tra il 17 e 27 marzo 1393 con un famulus, e poi al Duomo di Firenze per sei giorni dal 30 marzo 1393 per reclutare lapicidi per Bologna (Budriesi, 1994, pp. 61, 73, nota 69). Se i nostri disegni derivino in qualche modo delle attività di Antonio al Duomo di Milano, loro, o le loro fonti, dunque dovrebbero essere datati a marzo 1393.
Ad quadratum o ad triangulum. L’ipotesi che si tratta di uno schema basato su moduli di 16x10 diventa ancora più improbabile quando esaminiamo le dimensioni indicate sull’alzato sul recto. L’autore ricorda l’altezza dei piloni della navatella esterna come 30 braccia milanesi includendo «il capitello» [A nella figura sopra]; quella dei piloni delle navatella interna è 40 braccia sotto il capitello [B]; il grande capitello a tabernacolo della navatella interna è alto 10 braccia [C]; poi sopra il capitello a tabernacolo della navata grande indica le dimensioni 10 braccia, 3 braccia, e 6 braccia [D]; e soprattutto, dichiara in basso a sinistra che la cupola nel mezzo si alza a 113 braccia [E]. Sul verso le altezze e le larghezze del Pantheon sono ricordato come 76 braccia milanesi e poi quelle di San Lorenzo a Milano come 76 braccia milanesi (non 86 come trascritto da Ascani) con una larghezza di 80. Curiosamente queste annotazioni sono aggiunte ad angolo retto rispetto alla parte inferiore del foglio, come fossero riflessioni all’ultimo momento. Ma un alzato basato su unità di 10 sarebbe inutile per stabilire le curvature e poi le centine delle volte a terzo acuto costruite ovunque nel Duomo perché tali curvature non combacerebbero con alcuno punto sulla griglia dell’alzato: unità di dieci non sono mai menzionate nella documentazione alla nostra disposizione: e i numeri 3 e 6, numeri interi e frazioni di 12, non di 10, presenti sul disegno, e soprattutto il numero di 113 indicato per l’altezza del tiburio sono incompatibili con uno schema del genere. Invece, la sequenza di 10, 3 e 6 braccia indicate sopra i capitelli a tabernacolo sembrano corrispondere (i) con le altezze dei fusti dei mezzi piloni appoggiati ai muri della navata grande sopra i grandi capitelli a tabernacolo; (ii) con l’altezza dei capitelli dei mezzo-piloni e (iii) con l’altezza del muro tra questi capitelli e le finestre superiori. Inoltre il numero 113 menzionato per l’altezza della guglia non può essere più vicino a 112, una dimensione implicita nello schema Stornaloco II (76 + 3x12) e che sarà ripetuto da Amadeo e Dolcebuono nel 1490 quando stabiliranno l’altezza del loro tiburio. La differenza di un braccio potrebbe essere semplicemente un lapsus calami. È vero che nel dibattito del 1 maggio 1392, gli architetti esplicitamente omettevano il tiburio dalle loro discussioni («non computando in mensura tiborium fiendum») e Stornaloco non ne se occupa né nel suo testo né nel suo disegno. Certamente, però, la forma e l’altezza del tiburio era già discussa dall’inizio della costruzione del Duomo, come dimostra la menzione del modello di Annechino de Alemanis nel 1387 («tiborium unum pombli»: Annali, I, p. 14), la decisione di aumentare le grandezze dei quattro piloni della crociera nel 1390 (Annali, I, p. 36), e la rappresentazione del tiburio con una volta a crociera nella pianta di Cesariano e nel nostro disegno. In ogni caso, 113, o meglio 112, non è un multiplo di 10; invece è un multiplo di 14 (x 8), l’unità di altezza per i triangoli e quadrati di Stornaloco I (v. sotto).
Decisivo nel contesto della discussione della geometria implicita nel nostro disegno dell’alzato è il fatto che sul verso le altezze delle volte del Pantheon e di San Lorenzo di Milano sono ricordate alte 76 braccia. La menzione di questa altezza sarebbe inspiegabile e irrilevante se non fosse uguale a quella prevista per la volta della navata grande del Duomo, che arriva, appunto, a 76 braccia secondo Stornaloco II: inoltre 76 non è un multiplo di 10.
Le didascalie con le dimensioni dell’alzato si contraddicono. Il disegnatore afferma che l’altezza dei piloni della navata esterna è di 30 braccia «piiando el capitelo», che significa presumibilmente «compresa il capitello». Egli usa la parola «pigliare» nello stesso senso nella parte superiore della pagina quando parla della larghezza dei piloni della crociera: «li quatro pilastri grosi ... sono grossi piede sette, onze otto zoè piliando tuti li botazi». La parola «capitello» può riferirsi qui solo alla modanatura d’imposta in cima ai fusti dei piloni delle navatelle esterne e non a grandi capitelli a tabernacolo dal momento che non ce ne sono nelle navatelle esterne: che sembra assurdo. Poi afferma che i piloni delle navatelle interne sono alti 40 braccia sotto il capitello («braza XXXX perfino soto el capitelo»), e pone i grandi capitelli alti 10 braccia in cima ai fusti dei piloni, arrivando così a 50 braccia: la parola «capitello» sembrava inverosimilmente significare «modanatura d’imposta» nel caso delle navatelle esterne, ma «capitelli a tabernacolo» nel caso delle navatelle interne e della navata maggiore. Diventa abbastanza chiaro che chi ha scritto le didascalie ha collocato i grandi capitelli sopra i piloni delle navatelle interne e della navata maggiore all’altezza sbagliata, a 40 invece di 28 braccia. Il risultato di questo errore (uno dei parecchi) è che l’alzato diventa assurdo quando arriva all’altezza della volta grande della navata. Le volte della navata grande arrivano ad una quota di 60 braccia: ma visto che la volta della navata grande dovrebbe arrivare a 76 braccia, come indicato dai confronti con le altezze del Pantheon e di San Lorenzo menzionate sul verso, sarebbe impossibile costruire una volta di 76 braccia cominciando da un’imposta di 60 braccia; tale volta sarebbe alta solo 16 braccia e non potrebbe essere un terzo acuto. Inoltre, la collocazione e le dimensioni vere di questi elementi chiavi sono specificate durante la riunione del 1 maggio 1392 quando decidono di adottare Stornaloco II: l’altezza dei piloni delle navatelle esterne uguale a 28 braccia e quella dei piloni della navatella interna e della navata grande a 40 braccia, includendo i capitelli grandi e le basi; i mezzo-piloni attaccati ai muri sopra i piloni della navata grandi devono arrivare a 12 braccia, facendo sì che le imposte della navata grandi arrivassero a 40+12=52 braccia. Se mentalmente rimettiamo i capitelli grandi nelle loro posizioni corrette ‒ o meglio correggiamo quello che le didascalie dicono – come parte dei 40 braccia dei piloni delle navatelle interne e della navata grande, l’imposta degli archi della navata grande arriva a 52 braccia, non 60, e abbiamo lo spazio per una volta a terzo acuto di 24 braccia in luce arrivando all’apice di 76 braccia richiesta da Stornaloco II e menzionata sul verso del nostro disegno (52+24=76).
La conclusione è che l’alzato nel nostro disegno è una versione approssimativa e in parte confusa di Stornaloco II di cui riproduce più o meno esattamente le dimensioni: i piloni delle navatelle esterne sono indicati come 30 braccia invece di 28; i piloni delle navatelle interne a 40 braccia come in Stornaloco II; dopo aver corretto l’errore di mettere i grandi capitelli in posizioni troppo alte, le imposte della navata centrale arrivano a 40 + 10 + 3 = 53, invece di 52; l’altezza della volta della navata centrale è 76 braccia, come in Stornaloco II; l’altezza del tiburio è 113 braccia, invece di 112. Se il nostro argomento è giusto, questo disegno non ha nessun valore per la storia dei dibattiti sulla struttura e cade l’ipotesi seguita da Boito, Frankl, Ackerman fino a Romanini, Cadei e Ascani che si tratta di un progetto ad quadratum databile prima di quello ad triangulum e ad quadratum di Stornaloco.
La quota di 112 braccia è quella adottata per l’altezza del tiburio costruito da Amadeo e Dolcebuono (1490-1500) e ci indica che nel 1393 gli architetti erano già arrivati a determinare questa quota. Un fatto importante è che nella crociera sopra la volta i triangoli originari stabiliti da Stornaloco erano inevitabili, cioè triangoli su base interassiale di 32 br. che creavano archi a terzo acuto con estradossi di 28 br. e intradossi di 24br.. Queste dimensioni erano scontate per il futuro tiburio e la sola decisione che gli architetti dovevano prendere era quella dell’altezza a cui impostarlo.
Una seconda considerazione importante è che nella navata grande la volta costruita seguendo Stornaloco II sarebbe arrivata alla quota di 76 br. in luce (come suggerito sul verso del nostro disegno) e a circa 80 br. nell’estradosso, fissando così la quota del tetto. Invece l’arco della navata maggiore previsto, ma mai costruito da Stornaloco I, sarebbe arrivato a 84 br. nell’estradosso e circa 80 all’intradosso.
È anche vero che aggiungendo 3 x 12, o tre delle unità utilizzate nella costruzione del Duomo dal maggio 1392, a 76, la quota in luce dell’arco della navata grande, avrebbe creato un’altezza di 112 braccia. Aggiungendo 3 x 12 a 76 si arriva alle quote di 88, 100 e 112: e in teoria 88 potrebbe essere l’altezza di un tamburo sopra il tetto a 80 br., lasciando 24 br. (112 meno 88) per la volta.
Ma è possibile avere dei dubbi su questa spiegazione del numero 112: le unità di 12 e l’altezza di 76 sono dimensioni in luce e la distanza tra 88 e 112 creerebbe una volta alta 24 br. in luce, non all’intradosso. Tale volta avrebbe un’altezza complessiva di 116 br., che non è un multiplo di 12 né di 14. Ma questa ipotesi ci lascerebbe senza un’informazione essenziale, cioè l’altezza complessiva della volta; e nel caso della quota di 112 br. utilizzata nel 1490 si tratterebbe quasi certamente dell’altezza complessiva.
Un’interpretazione più convincente del numero 112 potrebbe essere questa: questo numero è l’altezza teorica del triangolo equilatero con base di 128, la larghezza dei transetti del Duomo, menzionato da Stefano Dulcino nel 1490 e illustrato da Cesariano nel 1521 (Schofield 1989). Tale triangolo non è descritto da Stornaloco ma è semplicemente un’estrapolazione del suo sistema creato dall’aggiunta di 2 delle sue unità orizzontali di 16 alla larghezza della navata grande e delle navatelle di 96. L’altezza dell’apice della navata grande a 84br. è generata dal più grande triangolo descritto da Stornaloco con base di 96br. Per arrivare a 112 gli architetti avrebbero aggiunto due delle unità verticali di 14 a 84: 84+28 = 112, lasciando una discrepanza tra l’altezza calcolabile del triangolo (110,9) e l’approssimazione conveniente voluta dagli architetti.
Dunque: era inevitabile che nel 1393, come nel 1490, gli architetti progettassero una volta alta 28 br. all’estradosso e 24 br. in luce. E già nel 1393 avevano deciso che l’altezza complessiva sarebbe stata di 112 br., che coincide con l’altezza di uno dei triangoli interassiali estrapolato dallo sistema di Stornaloco. La base della volta si sarebbe trovata a 112-28 br = 84 br., un pò sopra la quota del tetto a 80 br.: ma 84 è anche l’altezza del triangolo stornalochiano basato sulla larghezza della navata maggiore e delle navatelle di 96 br.
Tutto sommato, gli architetti si sono semplicemente riagganciati a Stornaloco I, per cui la sola quota variabile – quella della base della cupola – coincide con l’estradosso teorico dell’arco della navata grande stabilito dal matematico piacentino a 84 br., leggermente sopra la quota del tetto a circa 80 braccia.
Esaminiamo adesso l’altra informazione che abbiamo alla nostra disposizione. Il disegno si trova nell’Archivio di San Petronio in Bologna: non abbiamo alcuna notizia su perché o come sia arrivato lì. Il foglio ha una sola filigrana con un cerchio con 5 petali quasi uguali che non si sovrappongano ma s’incontrano quando arrivano al cerchio; ciascun petalo è formato da un po’ più di ¾ di un cerchio con storpiamenti leggeri: non c’è alcun tipo di decorazione nei cerchi o nei petali. I repertori di filigrane non citano esempi di fiori con 5 petali prima del 1413. Tutti gli esempi italiani sono databili tra 1413 e 1446 e provengano da Bergamo, Como, Milano e Pavia: nessuna è riportata da Bologna (Briquet, 1923, Piccard, 1982). Abbiamo quindi una ragione a priori per la supposizione che il nostro disegno fu realizzato nel secondo o terzo decennio del Quattrocento. Antonio di Vincenzo muore tra aprile 1401 e settembre 1402 (Quintavalle, 1961); se la datazione delle filigrana è giusta, vuole dire che non può essere l’autore dei nostri disegni. Ma si tratta di una cosa incerta, perché forse esempi più vecchi di tale filigrane non sono stati finora rintracciati.
Abbiamo presentato l’argomento che l’alzato rifletta quello di Stornaloco e quindi dovrebbe essere datato dopo 1 maggio 1392. È possibile che i nostri disegni possano essere datati a marzo 1393 quando Antonio di Vincenzo visita Milano per il fatto che la pianta è quotata in piedi bolognesi e il foglio si trova a Bologna? Alla stessa volta teniamo presente che la datazione della filigrana danneggia, forse fatalmente, i tentativi di datare il nostro disegno agli anni Novanta del Trecento, in contrasto con le fonti su cui è basato, oltre al problema che l’alzato non è quotato in piedi bolognesi ma in braccia milanesi.
Domandiamoci se la nostra conoscenza della storia degli altri elementi architettonici rappresentati nei disegni possa aiutarci a chiarire la vicenda. Notiamo subito che, nonostante la presenza di dimensioni accurate, la pianta include alcuni errori notevoli: le braccia dei transetti hanno tre campate, invece di due, e l’autore aveva anche iniziato a disegnare due altre campate a ovest del transetto destro, ma poi le ha cancellate. Notiamo anche che i quattro piloni della crociera sono più grandi degli altri seguendo la decisione di ingrandirli presa il 14 luglio 1390 (Annali, I, p. 36).
La collocazione sbagliata delle porte delle sacristie è quasi certamente un errore banale e non un’indicazione che sono state spostate tra 1390 e 1391, come suggerito da Beltrami. Bizzarramente lo stesso errore è visibile su una pianta (o copia), adesso a Strasburgo, realizzata molto più tardi (Repishti, 2015). La loro posizione era stabilita prima del 1390 quando gli scultori cominciano a pulire/levigare le sculture marmoree relative (Annali, Appendice, 1, p. 129: Cavazzini, 2008, p. 10). Non c’è ragione di pensare che le porte con tutte le loro sculture vengano spostate, tanto più che sono visibili nella loro posizioni attuali nella pianta di Cesariano che deriva da un disegno, adesso non rintracciabile, databile a prima del gennaio 1394. Quindi la data della realizzazione delle porte e la loro collocazione non interferisce con la nostra ipotesi di base che la data dell’informazione contenuta nel nostro disegno potrebbe risalire al 1393.
Nella pianta è indicata una porta con un pilone o colonna centrale nel transetto sinistro. I deputati hanno già discusso il «designamentum» di tale porta alla riunione del 1 maggio 1392, un anno primo della visita di Antonio al Duomo. Anche Leonardo disegna una pianta del Duomo tra 1493-1497 nel Codice Forster, III, f. 55v con solo una porta, quella verso Compedo al nord; mentre Bramante nel GSDU 8Av, disegna una pianta del Duomo con porte nei due transetti: il fatto che in questi due ultimi disegni le aperture siano senza piloni o colonne centrali non è molto significativo visto la loro scala piccolissima.
La pianta si estende verso il basso del foglio, presumibilmente implicando una navata di 8 campate: include 32 piloni (o 34 se si aggiungiamo quelli disegnati nelle campate aggiunte per errore ai transetti), arrivando alla fine della seconda campata della navata centrale e delle navatelle oltre la crociera; il disegnatore include le dimensioni di alcune delle distanze tra i piloni nella seconda campata della navata interna. Ma l’architetto non fa un rilievo dell’edificio come si presenta nei primi anni Novanta del Trecento perché i piloni non erano ancora stati costruiti nella navata grande o nelle navatelle: nel 1400 risulta che solo 22 piloni erano stati costruiti, cioè, tutti quelli dell’abside e dei transetti e due dei quattro all’incrocio del transetto e navate (1400 gennaio 11: Annali, I, p. 203). Invece il nostro architetto si confronta con un disegno o un modello della pianta della chiesa, non con l’edificio come allora si presentava. E questo non è problematico in alcun modo perché disegni e modelli della pianta esistevano sin dall’inizio del progetto.
Finalmente, abbiamo anche un terminus ante quem per il nostro disegno della pianta o per la sua fonte: le volte delle sacristie non sono indicate, né in quella di Cesariano; la decisione di iniziare la loro costruzione è presa, per quanto ne sappiamo, solo il 18 gennaio 1394, dopo la visita di Antonio di Vincenzo del marzo 1393 (Annali, I, p. 108, 115). Quindi la fonte sia per il nostro disegno sia per quella di Cesariano è da datare prima del 1394.
L’alzato sul foglio mostra i grandi capitelli alti 10 braccia milanesi posti in cima ai piloni della navata e della navatella interna. Stornaloco avrebbe ignorato questi capitelli, anche se esistevano progetti per la loro costruzione nel settembre 1391, perché il suo progetto era squisitamente interassiale. Ma nel febbraio 1392, un mese prima della visita di Antonio di Vincenzo al Duomo, Heinrich Parler presentò il suo modello in legno per i capitelli, la prima menzione che possediamo su di loro (2 febbraio 1392: Annali, I, p. 64). Dal giugno 1393 al febbraio 1396 disegni e modelli a grandezza naturale dei capitelli sono realizzati e messi in atto (Annali, I, pp. 99, 105, 142, 150, 156 e 158). Il 17 aprile 1396 veniamo a sapere che saranno «in forma di tabernacoli con l’intenzione di collocare figure di marmo in essi». Questi erano, evidentemente, simili in forma e altezza (10 braccia) a quelli del nostro disegno, perché quando l’arcivescovo nel 1396 esprime le sue preferenze sul tipo di capitelli, sostiene la soluzione di capitelli a tabernacolo con le statue come quelli che erano già stati costruiti (16 aprile 1396; Annali, I, p. 162; Cadei, 1969). La conclusione è che, poiché il nostro disegno dell’alzato o le sue fonti apparentemente risalgono al 1393, le forme dei grandi tabernacoli fu già stabilita da Parler, e forse anche da altri, entro febbraio 1392 (Annali, I, p. 64).
È chiaro che l’autore dell’alzato (sia si tratti di un disegno originale o di una copia) non sta copiando un disegno o modello con le dimensioni contrassegnate su di esso in braccia milanesi, altrimenti gli errori nelle didascalie riportando le dimensioni e nella collocazione dei capitelli a tabernacolo sarebbero incomprensibili.
Il verso del disegno presenta uno schema per l’esterno della sacristia nord che dovrebbe essere datato prima del 1403 perché dimostra questa parte della struttura com’era immaginata prima che arrivasse alla sua forma attuale con la costruzione della guglia Carelli, messa in posizione in quell’anno. Tutto sommato, sembra che non ci siano indizi contrari a datare i nostri disegni della pianta e dell’alzato o delle sue fonti a marzo 1393, quando Antonio di Vincenzo visita il Duomo. Ma le conseguenze di queste conclusioni, se giuste, sono tutt’altro che chiare. Si tratta veramente di disegni stesi da Antonio di Vincenzo o di copie?
Se, nonostante l’evidenza della filigrana, che non è necessariamente determinante, i disegni ora a Bologna sono stati realizzati nel cantiere del Duomo di Milano in marzo 1393 da Antonio da Vincenzo, uno dei più grandi architetti italiani del Trecento, come mai includono tanti errori sia in pianta e sia in elevazione e soprattutto perché usa due sistemi di misurazione? Sfortunatamente, non abbiamo altri disegni di Antonio da confrontare con questi, e quelli pubblicati come copie dei suoi disegni per il campanile di San Francesco a Bologna (1397 ca.) sono chiaramente invenzioni novecentesche e quindi non confrontabili con i nostri in alcun modo. Si tratta di tre disegni per campanili in stretta proiezione ortogonale con una pianta sotto due di loro. Zucchini (1922) afferma che portano date (15 novembre 1396, 25 febbraio 1397, 11 dicembre 1400), ma queste date non sono visibili nella sua fotografia. I disegni sono pastiche confezionati da elementi ripresi dal campanile di Giotto a Firenze e quello di San Francesco stesso con l’aggiunta di motivi decorativi copiati da costruzioni locali, come la Loggia della Mercanzia, San Petronio e il campanile di San Domenico (Matteucci Armandi, 1987).
Come abbiamo già affermato, la filigrana sul foglio è apparentemente databile al secondo o al terzo decennio del Quattrocento. Quindi proviamo ad esplorare la possibilità che si tratta di copie fatte nel primo Quattrocento di disegni originali realizzati nel 1393 da Antonio a Milano e poi portati da lui a Bologna. Colpisce soprattutto il fatto che la pianta sul recto è fornito da dimensioni in piedi bolognesi e l’alzato da braccia milanesi. Mettiamo che tutte le scritture a mano fossero aggiunte quando le copie sono state fatte a Bologna: dal momento che la scrittura sul recto e sul verso appare omogenea, abbiamo una ragione a priori a pensare che la stessa persona ha fatto tutte le copie, piuttosto che due o tre persone diverse. Le quote sulla pianta potrebbero derivare da misurazioni effettuate da Antonio utilizzando piedi bolognesi nel 1393 e fedelmente trascritti di nuovo dal copista. Ma i grossolani errori strutturali sulla pianta rimarrebbero inspiegabili e il fatto che nessuna carta con il fiore a cinque petali è registrata per Bologna dagli anni Dieci e Venti del Quattrocento sarebbe dannoso per tale teoria.
Nel caso dell’alzato, il problema non è rappresentato dal disegno o dalle sue proporzioni, ma dalle didascalie con le loro dimensioni contraddittorie e senza senso; si può chiedersi se Antonio aveva fatto un disegno dell’alzato senza indicare le dimensioni e che il nostro supposto copista quattrocentesco, con solo una vaga conoscenza di Stornaloco, ha aggiunto le didascalie con gli errori che abbiamo registrato? Ma il fatto che le dimensioni sono riportate in braccia milanesi presumibilmente indica che il copista fu milanese, non bolognese. Lasciamo questi conflitti come sono: aperti e irrisolti.
Bibliografia
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L. Beltrami, Le guglie del Duomo di Milano a proposito di restauri in corso di esecuzione (con disegni inediti), “Rassegna d’Arte”, I, 1901, 1, pp. 2-3
G. Zucchini, Disegni di Antonio di Vincenzo per il campanile di San Francesco a Bologna, “Architettura ed Arti decorative”, 1, 6, 1922, pp. 526-35
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