Autori_architetti / Authors_architects
Anechino de Alemania [Giovannino; Annex] compare nei documenti della Fabbrica tra il 1387 e il 1401. Infatti, il primo marzo 1387 è nominato ingegnere a capo del cantiere Simone da Orsenigo (Annali, I, 1877, p. 16), che resta per molti anni responsabile dei lavori, fino al 29 ottobre 1391 (Annali, I, 1877, p. 56). Al suo fianco compaiono altri nomi di architetti e scultori che realizzano disegni e modelli da sottoporre all’approvazione della Fabbrica. Tra i primi troviamo Anechino de Alemania, che è pagato per un modello in piombo il 9 febbraio 1387: «Anechino de Alamania qui fecit tiborium unum plombi» (AVFDMi, Registri, 2A, f. 4r; Annali, Appendice I, 1883, p. 14).
Come Annex Allamanus è successivamente ricordato nelle dispute del 1401, in particolare nella risposta data da Guidolo della Croce, registrata il 15 maggio, dalla quale si evince la posizione di Anechino a favore del primo progetto di Gabriele Stornaloco (Stornaloco I): «Sequendo formam secundo inceptam muttatur falsus ordo aliax provisus et sequitur rectus ordo triangullaris a quo sine errore recedi non potest, de quo aliax suprascriptus magister Henrichus ac quidem magister Annex Allamanusante ipsum alta et fidelli voce in auribus falsorum surdorum predicaverunt» (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, ff. 268-270 [Cassette Ratti, 26]; Annali, I, 1877, p. 227).
Galeazzo Alessi è documentato sul cantiere del Duomo in relazione al progetto del nuovo scurolo. Il 18 marzo 1569 gli è riconosciuta una somma per diverse opere realizzate per la Fabbrica e in particolar modo per il disegno del nuovo scurolo: «Item die suprascriptro 18 librarum 70 s. 16 dicto spectabilis domino Galeaz de Alesiis de Perusia architecto pro diversis laboribus per eum factis pro predicte fabricae et massimo in faciendo designum suprascriptum scuroli» (AVFDMi, Registri, 341a). La stessa registrazione compare in AVFDMi, Registri, 748, f. 16: «Galeazzo Alessi da Perugia per disegno dello scurolo qual di novo si ha da fabricare et anche per altre sue fatiche lire 70, soldi 16».
Carlo Borromeo, dopo aver preso visione dei progetti presentati da Pellegrino Tibaldi, Leone Leoni e Alessi («Visisque ad presentiam predicti illustrissimi et reverendissimi domini cardinalis archepiscopi et predictorum reverndorum et magnificorum dominorum praefectorum nonnullis designis exhibitis per dominum Peregrinum de Peregrinis predictae fabricae ingenierium, ac etiam per magnificum equitem dominum Leonem Aretinum, et etiam intellectis votis et apparere non solum predicti equitis, verum etiam magnifici domini Galeaz de [lacuna del testo] de Perusia»), decise di optare per la soluzione proposta da Pellegrino Tibaldi («iuxta designum exhibitum per prefatum dominum Peregrinum predictae fabricae ingenierium»; Annali, IV, 1881, p. 82).
Giovanni Antonio Amadeo, apprendista di Giovanni Solari nel 1460 e genero di Guiniforte Solari, avendone sposato la figlia Maddalena, è documentato con Giovanni Giacomo Dolcebuono per la prima volta tra i lapicidi del Duomo, come testimone in un atto del 1465 stipulato in Campo Santo (1465, 29 marzo; ASMi, Notarile, 1537). Dal 1475 collabora con altri scultori alla realizzazione dell’altare di San Giuseppe, di committenza ducale (Annali, II, 1877, p. 316). Alla morte di Guiniforte, Bartolomeo Calco scrive ai Deputati della Fabbrica esortandoli a eleggere Giovanni Antonio Amadeo o Giovanni Battagio da Lodi come architetti della Fabbrica (1481, 7 gennaio; ASMi, Registri delle missive, 152, f. 155v) e contestualmente, senza averne diritto, il duca di Milano lo nomina architetto della Fabbrica e nomina Pietro Antonio Solari architetto dell’Ospedale Maggiore (1481, 12 gennaio; ASMi, Registri ducali, 116, ff. 16r-16v; Annali, III, 1880, pp. 1-2). Nonostante la raccomandazione ducale, Amadeo non è eletto ingegnere sino al primo luglio 1490, quando è incaricato, con Dolcebuono, di erigere il tiburio e gli viene corrisposto un salario mensile di 16 lire (Annali, III, 1880, p. 55); su questo progetto vengono consultati Leonardo, Bramante e Francesco di Giorgio Martini (Annali, III, 1880, pp. 60-65). Nel febbraio 1503 Amadeo partecipa alla riunione per definire il modello della porta verso Compedo, in collaborazione con Dolcebuono (morto nel 1504), ma rivale di Cristoforo Solari, Bartolomeo Briosco e Andrea Fusina, e nel 1508 presenta un progetto per una delle quattro guglie che contengono le scale del tiburio, scontrandosi nuovamente con Solari e Fusina, quest’ultimo eletto suo assistente nel 1506 (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, IV, f. 340v). Le sue ultime sculture, perdute, risalgono al 1505 e sono una Vergine con il Bambino e i Quattro Evangelisti per il capocielo dell’altare maggiore (1505, 15 dicembre; AVFDMi, Registri, 857, f. 151r). Ingegnere della Fabbrica sino alla morte, nel 1510 Amadeo è convocato per discutere sulla realizzazione degli stalli del coro (con Leonardo da Vinci, Cristoforo Solari e Andrea Fusina; 1510, 21 ottobre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, V, f. 245) e nel 1511 si interessa della convezione con le cave di Ornavasso per l’approvvigionamento di «navate quatro di marmore» (Annali, III, 1880, p. 155). Nel 1519 partecipa alla riunione durante la quale i deputati deliberano di far costruire un modello in legno della cattedrale (1519, 19 maggio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, VII, f. 39). Privo di eredi diretti, Amadeo dispone nel suo testamento (1514) che i suoi beni di Giovenzano passino alla Fabbrica, riservando l’usufrutto delle entrate a favore delle doti delle figlie dei lapicidi e a favore dell’istituzione di una scuola di disegno per i giovani in Campo Santo (1514, 14 novembre; AVFDMi, Archivio Storico, 49).
Ippolito Andreasi compare il 19 gennaio 1599, quando Federico Borromeo, scrivendo da Roma al vicario milanese, lo presenta come un pittore-architetto mantovano attivo anche a Casale Monferrato «pratico e intelligente nella professione», suggerendo il suo nome affinché presenti un nuovo progetto per la facciata (1599, 19 gennaio; BAMi, cod. G 311 sup., f. 92). I Mandati della Fabbrica registrano puntualmente dopo pochi giorni un pagamento a favore di Andreasi per la realizzazione di disegni (1599, 1° febbraio-18 febbraio; Annali, IV, 1881, p. 333).
Antonio di Vincenzo è il maestro a cui si attribuisce il primo disegno in ordine di tempo che conosciamo del Duomo milanese, oggi conservato nell’Archivio di San Petronio a Bologna (Bologna, Archivio della Fabbriceria di San Petronio, 389, n. 1). Sebbene il disegno sia stato datato al 1390, non c'è traccia nei documenti relativi alla basilica di San Petronio di una visita di Antonio a Milano nel 1390. Al contrario sono documentate le sue visite al Duomo di Milano tra il 17 e 27 marzo 1393 con un famulus, e poi al Duomo di Firenze per sei giorni dal 30 marzo 1393, per reclutare lapicidi per la fabbrica bolognese di cui era responsabile come ingegnere (1393, 27 marzo: ASPBo, Liber expensarum, 1393, c. CXXIIv; 1393, 5 aprile: ASPBo, Liber expensarum del 1393, c. CCXXIIIr). Antonio di Vincenzo muore tra l’aprile del 1401 e il settembre del 1402.
Arrigone, Attilio. Presenta senza successo la domanda per succedere a Gerolamo Quadrio nella carica di architetto della Fabbrica (1679 giugno 16; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 12). Nella domanda ricorda gli studi compiuti a Roma e gli incarichi svolti in Duomo sino al 1679 quale sostituto di Quadrio.
Arsago, Bartolomeo. Menzionato il 19 marzo 1449 come ingegnere (1449 marzo 19; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, II, f. 65).
Giovanni Baffa è menzionato il 18 luglio 1448 come ingegnere della Fabbrica, insieme a Giovanni Solari («de’ Salario»), affinché si occupi di regolamentare con altri cittadini ed i XII di Provvisione l’estrazione delle acque dalla fossa della città, così che non si danneggino i trasporti legati alla Fabbrica: «Et audites propositionibus que in dicto consilio facta fuerunt, primo ad illud quod dicitur confectores et tinctores draporum et etiam monasterium Clarevallis, et quamplures alie persone, eximere et extrahere solere aquam de fovea civitatis pertinentem ipsi fabrice etc., ex qua diminutione aquarum sepenumero impeditur navigatio ipsius fovee, ex quo maximum incomodum et detrimentum sequetur ipsi fabrice etc., quibus diligenter auditis per prefatos dominos de consilio, statutum, provisum et ordinatum fuit quod omnibus modis talis ordo apponeretur quod dicta aqua extrahi non posset extra dictam foveam, ut dicta fovea navigabilis semper existeret, pro quibus adimplendis et exequendis elegerunt prefati domini de consilio infrascriptos inzignerios qui operarentur et providerent quod dicta aqua fovee extrahi non posset, nec per aliquos usurpari, magister Johannes Baffa et magister Johannes de Solario inzignerii, qui ambo una cum nobilibus viris domino Ambrosio de Rociis et domino Galvaneo de Pandulfis et cum duobus aliis probis viris eligendis per dominum vicarium et duodecim provisionum Communis Mediolani, tale negocium peragerent et exequerentur» (1448, 18 luglio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, II, f. 53; Annali, II, 1877, p. 118).
Gaspare Baldovino [Balduini], capitano di Fanteria e ingegnere militare sotto Filippo III e Filippo IV d’Asburgo, è documentato al Forte di Fuentes a Colico nel 1606-1612; egli risulta poi autore, in aiuto di Tolomeo Rinaldi, dell’apparato per le esequie di Margherita d’Austria, moglie di Filippo III e regina di Spagna, celebrate nel Duomo nel 1611 (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 8).
Pietro Antonio Barca, sebbene sia documentato in più occasioni, non ricoprì mai la carica di architetto o ingegnere della Fabbrica e non compare mai tra i maestri salariati. Per le sue competenze professionali e per il ruolo ricoperto di ingegnere del Comune, è chiamato a redigere stime e pareri su molti lavori intrapresi all’interno del cantiere. Così accade in occasione dei processi contro Pellegrino Tibaldi, Lelio Buzzi e l’arciprete del Duomo tra il 1582 e il 1583, e per l’acquisizione da parte della Fabbrica dell’angolo di Palazzo Ducale necessario per il completamento della facciata e dei nuovi edifici costruiti nella contrada delle Quattro Marie (documentazione in ASDMi, Sezione X, Metropolitana, 60; Annali, IV, 1881, pp. 67-68, nota 1). Ancora nel 1583, con Vincenzo Seregni redige i Pareri sulle volte dello scurolo di Pellegrino Tibaldi (Annali, IV, 1881, p. 195). Nel 1604 concede una parte della piazza del viridario, posteriore al Duomo, al governo spagnolo per l’aperura di una nuova strada verso le carceri (Annali, V, 1883, pp. 21-24). Barca partecipa attivamente ai dibattiti del 1607 relativi alla revisione del progetto presentato da Tibaldi per la facciata, in particolare sulla possibile variante con la presenza o l’assenza di piedistalli per le colonne del primo ordine; in particolare Barca si batte affinché le colonne vengano erette su piedistalli, scontrandosi su questo punto con Francesco Maria Richino (AVFDMi, Archivio storico, 135; Annali, V, 1883, pp. 44-52).
Martino Bassi, autore di un volume intitolato Dispareri in materia di architettura e prospettiva pubblicato a Brescia nel 1572 con il quale rivolge una serie di accuse all’operato di Pellegrino Tibaldi, svolge probabilmente il suo apprendistato presso Vincenzo Seregni. Nel testo Bassi ritorna più volte sull’affermazione di un apprendistato svolto presso la Fabbrica, tuttavia nessun atto sembra certificare una sua presenza prima del 1569, quando confuta per la prima volta le soluzioni progettuali di Tibaldi (Annali, IV, 1881, p. 88); nello stesso anno Pellegrino Tibaldi scrive la sua risposta al parere di Bassi (Annali, IV, 1881, pp. 97-101). Nel 1580 Bassi è coinvolto nel progetto del pulpito settentrionale del Duomo: in particolare si occupa delle misure e della forma del pulpito stesso (mentre dell’apparato decorativo, e del registro iconografico, si occupa il prelato Carlo Bescapè, poi vescovo di Novara); Bassi si occupa anche del preventivo per la realizzazione del pulpito stimando una spesa di lire 22.000 (Annali, IV, 1881, p. 175-176). Tra il 1582 e il 1583 compila alcune relazioni sui lavori eseguiti all’interno del Duomo (scurolo, pavimento, campanile, strada coperta, piazza) e sugli errori commessi in fase di progettazione e di realizzazione (BAMi, S 122 sup). Il 20 novembre 1587 Bassi è finalmente nominato architetto della Fabbrica, preferito a Giuseppe Meda, sebbene debba attenersi ai progetti già elaborati da Tibaldi (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 15, f. 48; Annali, IV, 1881, p. 233). In particolare, tra il 1587 e il 1588, si occupa dei lavori per il tabernacolo dell’altare maggiore, delle casse del nuovo organo, della trave con il Crocifisso, dei pulpiti e dei nuovi altari (Annali, IV, 1881, p. 238-239). In una lettera datata 13 settembre 1590 dichiara di rinunciare allo stipendio e ringrazia per la concessione di una abitazione in Camposanto, già di Tibaldi (BAMi, S 122 sup.; Annali, IV, 1881, p. 250). Dopo aver proposto al Capitolo alcune considerazioni sul proseguimento del cantiere, i deputati domandano a Bassi proposte progettuali per la facciata: «quod dictus architectus [Bassi] lineamenta opportuna et ortographiam seu erectae frontis imaginem faciat, eamque, prout sibi videbitur, consulet et terminet, ut si fieri poterit, ei nihil ad eurithmiam, ad symetriam neque ad decorem desiderari possit» (1590, 20 dicembre; Annali, IV, 1881, p. 252). Nell’aprile del 1591 il Capitolo decide di inviare a Roma i disegni elaborati per sottoporli per un parere a papa Gregorio XIV (Annali, IV, 1881, pp. 253‑254), come ci conferma anche una lettera dello stesso Martino (ASDMi, Sezione X, Metropolitana, 23, 9) in cui egli chiede di scrivere a Roma per raccomandarsi che i disegni inviati non vadano persi. Muore nel settembre 1591 e il 28 dello stesso mese gli succede Lelio Buzzi (Annali, IV, 1881, p. 259 e p. 261).
Giovanni Battagio [da Lodi] compare presso la Fabbrica in relazione ai progetti e lavori per il tiburio (Annali, III, 1880, p. 60). Una prima volta egli è citato il 7 gennaio 1481 quando il segretario ducale Bartolomeo Calco scrive ai Deputati esortandoli a eleggere come nuovo ingegnere, in sostituzione di Guiniforte Solari, Giovanni Antonio Amadeo o Giovanni da Lodi (ASMi, Registro delle Missive, 152, f. 155v: «cum ex subsecuto obitu Guiniforti de Solario qui istius fabrice architectus erat seu ingeniarius, ut materno sermone utamur, necesse videatur alium in eius locum sufficere nobisque propositi fuerint Joannes Antonius Amadeus et Johannes laudensis tanquam ambo in architectura excellentes»). Ancora, il 14 maggio 1483, Ludovico Sforza scrive in merito alla nomina, fatta dai deputati del Duomo, di un ingegnere tedesco, chiedendo che venga valutata l’opportunità di «retractare questa electione» qualora si accerti che tale ingegnere non sia «ben provisto al bisogno di tanta opera» e propone invece di «accettare a questa impresa magistro Ioanne da Lode» raccomandato da «messer Ioanni Iacobo de Trivultio e da molti homini da bene» (1483, 14 maggio; ASMi, Comuni, 48). Infine, sappiamo che il 27 giugno del 1490, presso il Castello Sforzesco, Ludovico Maria Sforza, l'arcivescovo di Milano, il vicario arcivescovile e i deputati alla Fabbrica del Duomo valutano i modelli per il tiburio realizzati da Francesco di Giorgio, Giovanni Antonio Amadeo e Giovanni Giacomo Dolcebuono, Simone Sirtori e Giovanni Battagio (1490, 27 giugno; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 228r).
Antonio Berlucchi, ingegnere collegiato, presenta, senza successo, la domanda per succedere ad Antonio Quadrio nella carica di architetto della Fabbrica (1743, 2 febbraio; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 18).
Giuseppe Bianchi presenta, senza successo, la domanda per succedere a Bartolomeo Bolla nella carica di architetto della Fabbrica, dichiarando il suo alunnato presso l’architetto Muttoni e di aver prestato servizio per sette anni presso la Real Corte di Vienna (1760, 25 aprile; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 20).
Marco Antonio Bianchi, detto “romano”, Francesco Croce e Antonio Quadrio, ingegnere della Fabbrica, partecipano nell’agosto del 1733 a una riunione per definire un nuovo progetto della facciata, rispetto alla possibile alternativa tra lo «stile romano composito, cioè misto, o gotico» (1733, 21 agosto; Annali, VI, 1885, p. 121; 1733, 31 agosto; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 59, ff. 48r-48v).
Paolo Federico Bianchi presenta nel 1773, senza successo, la domanda per succedere a Francesco Croce nella carica di architetto della Fabbrica (AVFDMi, Archivio Storico, 3, 23).
Andrea Biffi è nominato architetto collegiato il 10 novembre 1668, nel 1679 presenta la domanda come successore alla carica di architetto della Fabbrica, ricoperta fino a quel momento da Gerolamo Quadrio. Con lui partecipano alla selezione Giovanni Battista Quadrio, Attilio Arrigone, Giovanni Battista Paggi, Camillo Ciniselli, Bartolomeo Malatesta, Giovanni Domenico Richino e Giovanni Sebastiano Robecco; nella richiesta Biffi ricorda gli studi a Roma e i familiari che sono stati al servizio della Fabbrica nei decenni precedenti: al nonno Andrea erano state affidate alcune Storie in marmo di Carrara per la cinta del coro, mentre la Storia di Ester posta sopra una delle porte laterali della facciata e il Padre Eterno che chiude la volta della cappella della Madonna dell'Albero furono terminate dal padre Carlo (AVFDMi, Archivio Storico, 3, 12). Il 6 giugno 1679 il Capitolo lo nomina ufficialmente architetto della Fabbrica con un salario di 600 lire, nel 1681 Biffi chiede che il suo salario sia portato alla stessa somme del predecessore Gerolamo Quadrio; ulteriore richiesta di aumento segue nel 1685 (AVFDMi, Archivio Storico, 3, 13; Annali, V, 1883, p. 323). Il 29 luglio 1686 presenta al Capitolo la relazione sui lavori per la piazza antistante il Duomo (Annali, VI, 1885, pp. 5-15). Gli succede nella carica Giovan Battista Quadrio il 3 agosto 1686 (Annali, VI, 1885, p. 24).
Padre Lorenzo Binago è documentato al servizio della Fabbrica in due sole occasioni: una prima volta, nel 1603, quando è convocata una commissione che comprende Binago, Pietro Antonio Barca, Francesco Sitone e quattro deputati, per discutere, alla luce delle proposte per la facciata, tutte dotate di piedistalli, di Bassi, Rinaldi, Barca e, forse dello stesso Binago con Francesco Maria Richino, il progetto per la facciata elaborato da Pellegrino Tibaldi. Il foglio 31r della Raccolta Bianconi, tomo II, attribuito a Francesco Maria Richino, conserva sul verso la scritta «del p. d. Lorenzo» che può essere inteso come un possibile riferimento alla riunione del 1603 (Annali, V, 1883, p. 44, nota 1). La seconda occasione riguarda sempre una riunione convocata dai Provinciali della Cassina nel 1625 (tra gli invitati l’arcivescovo di Milano e Lorenzo Binago, Muzio Oddi, Giovanni Battista Cerano, Francesco Maria Richino, Tolomeo Rinaldi, Giovanni Battista Pessina quali esperti di architettura), forse per discutere a proposito di un errore nella misura della prima colonna della nuova facciata disegnata da Fabio Mangone o degli aspetti relativi al suo trasporto (1625, 20 marzo; AVFDMi, Archivio Storico, Deliberazioni dei deputati, 422).
Alessandro Bisnati viene nominato architetto della Fabbrica il 17 settembre 1609 (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, XXII, ff. 55v- 56r; Annali, V, 1883, p. 64) e resta in carica sino alla morte avvenuta il 9 maggio 1617. Nel 1610, con l’ingegnere Ercole Turati, si occupa dell’allestimento del mercato in piazza del Verziere (Annali, V, 1883, p. 69). Affiancato da Fabio Mangone, compila nel 1616 una importante relazione sull’impresa delle colonne della facciata del Duomo (1616, 10 luglio; AVFDMi, Archivio Storico, 136, 8). Bisnati si occupa prevalentemente del completamento strutturale dell’edificio e della cappella della Madonna dell’Albero; per quest’ultima stila una relazione, con Francesco Maria Richino, presentata al capitolo nel 1613 (Annali, V, 1883, p. 84).
Giovanni Paolo Bisnati, figlio di Alessandro, è nominato architetto della Fabbrica nel maggio del 1617, alla morte del padre, con uno stipendio di 400 lire annue e con un ruolo subordinato a Fabio Mangone (1617, 22 maggio; AVFDMi, Archivio Storico, 2, 5 bis). Bisnati è l’autore di una serie di importanti tavole che illustrano i prospetti laterali, la sezione e la planimetria del Duomo milanese, conservati presso la Biblioteca Ambrosiana (S 148 sup. ff. 14-19). Il 26 aprile 1621 ottiene uno stipendio di 800 lire, come suo padre, sebbene la sua attività sia soprattutto inerente alla gestione dei beni di proprietà della Fabbrica (Annali, V, 1883, p. 114). Nel maggio del 1625 viene sospeso, per delibera del Capitolo, dalla carica di architetto della fabbrica del Duomo (Annali, V, 1883, p. 134).
Bartolomeo Bolla è documentato presso il cantiere del Duomo tra il 1743 e il 1760. Il 27 febbraio 1743 Bartolomeo Bolla riceve tutti i venti voti favorevoli alla sua assunzione da parte dei componenti del Capitolo, superando gli altri aspiranti, Dionigi Maria Ferrari e Antonio Berlucchi, e succedendo ad Antonio Quadrio (Annali, VI, 1885, p. 140). Durante i circa venti anni del suo mandato si occupa dell’arricchimento delle guglie con sculture e bassorilievi, commissionati a Giuseppe Beljani e ad Andrea Pellegrino nel 1747 (Annali, VI, 1885, p. 149), nel 1754 a Elia Vincenzo Buzzi (Annali, VI, 1885 p.166) e nel 1757 a Carlo Beretta (Annali, VI, 1885, p. 170), e porta a compimento l’impresa della Gran Guglia. Il 17 marzo 1760 supplica il Capitolo di volergli concedere l’esonero dalla carica di architetto e il relativo vitalizio; gli succedono Francesco Croce e Giuseppe Antonio Pessina (Annali, VI, 1885, p. 179).
Nicolas [Nicola] de Bonaventure compare la prima volta il 18 giugno 1389, quando il duca concede a «Niccolò Bonaventi detto Parigi» di dimorare a Milano al servizio della Fabbrica del Duomo (ASCMi, Località milanesi, 162). Egli è pagato come ingegnere dal 7 maggio (Annali, Appendice I, 1883, pp. 82-83) e nominato poi ingegnere capo al posto di Simone da Orsenigo il 6 luglio 1389 (Annali, I, 1877, pp. 25, 30); la sua attività a Milano dura un solo anno, durante il quale si definiscono alcuni aspetti formali del Duomo come le basi dei piloni, la maggiore grandezza di quelli corrispondenti al tiburio (1390, 19 luglio; Annali, I, 1877, p. 36) e le finestre della «tribuna» del coro (1390, 16 marzo; Annali, I, 1877, pp. 31-32). Infatti, nella riunione del 16 marzo 1390 vengono presi in esame i disegni preparati da Giacomo da Campione e da Bonaventure delle «fenestrae magnae trahunae dictae ecclesiae» e si approvano quelli di Nicola. Fa ritorno in Francia nell’estate del 1390, dopo essere stato licenziato dalla Fabbrica il 22 luglio: «che si cassi maestro Nicola de’ Bonaventuri, ingegnere della fabbrica, dal salario che gli si corrisponde, e lo si tolga intieramente dalle opere della stessa fabbrica» (Annali, I, 1877, p. 36).
Giovanni Giorgio Borsano compare nel 1502 tra i registri di pagamento della Fabbrica per essersi occupato della rimozione di alcuni sarcofagi dalla zona presbiteriale; per questa operazione gli sono riconosciute 4 lire e 10 soldi (Annali, III, 1880, p. 123). È tra gli ingegneri salariati nel 1503 con l’incarico di «legnario fabrice», nominato al posto del defunto Antonio di Pallanza con un salario mensile di 9 lire e 18 soldi (1503, 27 giugno; AVFDMi, Registri, 855, f. 60).
Donato Bramante (detto Bramante da Urbino) risulta essere stato attivo nel cantiere del Duomo limitatamente al problema del tiburio, che dalla morte di Guiniforte Solari coinvolge molti architetti e ingegneri. Sicuramente Bramante prepara un suo modello ligneo realizzato poi dai maestri Daniele Visconti e Santambrogio da Lonate (1487, 1 settembre ; AVFDMi, Registri, 667, f. 45: «Danieli Vicecomitti et Sancto Ambrosio de Lonate, ambobus magistris a lignamine, pro eorum solutione operum decem octo per ipsos factorum in servitiis fabrice, videlicet in modelum magistri Bramanti, ad computum solidorum decem imperialium pro singulo opere, quae facta fuerunt in mense iunii proximo preterito […] L. VIIII») e redige la nota Opinio («Bramanti opinio super domicilium seu templum magnum»; c. 1488; AVFDMi, Originale perduto) sui progetti per il tiburio del Duomo ideati da Giovanni Antonio Amadeo, Pietro da Gorgonzola, il Legute, Antonio da Pandino e Giovanni Molteno (Annali, III, 1880, pp. 62-63).
Bartolomeo Suardi detto il Bramantino nel 1503 è uno dei giudici nominati per il concorso della nuova porta del transetto settentrionale alla cui competizione partecipano tre diversi gruppi di ingegneri-scultori (1503, 23 febbraio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, IV, f. 340v; Annali, III, 1880, p. 125). Bramantino compare una seconda volta, nel 1519, come magister tra gli esperti delle arti e dell’architettura alla riunione nella quale si decide la realizzazione di un nuovo modello ligneo del Duomo (1519, 19 maggio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, VII, f. 39r).
Carlo Buzzi viene nominato architetto ad interim nel 1629, avendo già collaborato con la Fabbrica come allievo di Fabio Mangone, del quale era probabilmente cognato. Nel maggio e nel dicembre del 1629 il Capitolo decide, infatti, di non eleggere un nuovo ingegnere della Fabbrica, ma di nominare Giovanni Battista Crespi detto il Cerano responsabile di tutti gli apparati scultorei e dei disegni, e Carlo Buzzi, «professore di architettura», suo aiuto con l’incarico «di eseguire gli ordini del sopradetto Cerani e di sovrintendere intorno ai negocii di campagna, consegne di case ed altro» (1629, 10 novembre; AVFDMi, Archivio Storico, 2, 7 ter). Per la carica di coadiutore del Cerano si erano presentati numerosi pretendenti, soprattutto milanesi: Giulio Cesare Mangone, Carlo Buzzi, Francesco Maria Richino, Vincenzo Cinisello, Giacomo Filippo Monte, Giuseppe Robecco, Giovanni Ambrogio e Giovanni Paolo de Capitani, Giovanni Battista Guidabombarda e Nicolò Sebregondi. In un successivo memoriale Buzzi dichiara di «servire la Fabbrica» dal 1623 con l’eccezione dei quattro anni passati a Roma (1644, 11 agosto; AVFDMi, Archivio Storico, 2, 9). Nel 1638 il Collegio degli Architetti e Ingegneri di Milano, essendo venuto a conoscenza che il Capitolo stava definitivamente nominando Buzzi architetto della Fabbrica, prepara un memoriale nel quale ricorda che Buzzi non può fregiarsi di questo titolo non avendo superato gli esami per essere ammesso nel Collegio e diffidando il Capitolo nel procedere a questa elezione. Il 26 agosto 1638 il Capitolo decide di non tenere conto delle minacce del Collegio e conferma il licenziamento di Richino e l’elezione di Buzzi con uno stipendio di 1200 lire, preferendolo a Carlo Antonio Mafezzone (AVFDMi, Archivio Storico, 2, 4 e 9; Annali, V, 1883, p. 187). Il 27 gennaio 1640 Buzzi presenta al Capitolo la relazione sulla conclusione dei lavori della cappella della Madonna dell’Albero (Annali, V, 1883, p. 191). Il 7 agosto dello stesso anno Buzzi convoca il Capitolo per discutere sulla realizzazione del portale interno principale del Duomo, per cui propone soluzioni compositive tratte dalle più importanti chiese seicentesche milanesi (Annali, V, 1883, p. 195). Il 17 agosto 1645, cogliendo l’occasione della richiesta di nuovi disegni per i due campanili, presenta un nuovo progetto complessivo della facciata, di cui compone la relazione descrittiva, presentata al Capitolo il 31 gennaio 1647 (Annali, V, 1883, pp. 218-221). Nel 1649 viene commissionata dal Capitolo un’incisione in rame del suo progetto, di cui sono registrati i pagamenti (Annali, V, 1883, p. 227). Il 16 maggio 1651 presenta una soluzione di copertura per raccordare il corpo del Duomo alla facciata (Annali, V, 1883, pp. 232-233). Il 7 aprile 1653 viene approvato il suo progetto (Annali, V, 1883, p. 242) e il 22 agosto dello stesso anno, come deliberato dal Capitolo, procede con Francesco Bono alla realizzazione dei pilastri della facciata (Annali, V, 1883, pp. 245-247). Il 26 settembre 1658 Carlo Buzzi muore, viene nominato suo successore Gerolamo Quadrio (Annali, V, 1883, p. 267).
Lelio Buzzi, vicino a Pellegrino Tibaldi, viene ammesso come lapicida nel cantiere del Duomo il 10 maggio 1568 (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 12, f. 289), e ricopre negli anni di Tibaldi il ruolo di capomastro (Annali, IV, 1881, pp. 89-90). Tra il 1582 e il 1583, con lo stesso Pellegrino e l’arciprete del Duomo, è accusato di concussione e sottoposto a un lungo processo tanto che, quando Tibaldi decide di lasciare Milano per lavorare in Spagna, nel dicembre del 1585 Buzzi è licenziato dalla Fabbrica (Annali, IV, 1881, p. 222), ma probabilmente non lascia in maniera definitiva il cantiere: egli continua, infatti, a occuparsi del disegno per la pavimentazione della crociera della campata sotto il tiburio, che gli era stata commissionata nel 1584 (Annali, IV, 1881, p. 215). Alla morte di Martino Bassi è richiamato come architetto ad interim della Fabbrica, ma con il solito salario di capomastro (1591, 28 settembre; Annali, IV, 1881, p. 258). Nel 1592 si occupa della doratura dell’organo verso la sacrestia degli Ordinari (Annali, IV, 1881, pp. 275-76). Al dicembre 1597 risale una memoria compilata da Buzzi che ci offre un quadro preciso dei lavori e delle opere in corso nel cantiere: in particolare si stanno ultimando gli altari di Santa Agnese, di San Giovanni Evangelista, di San Giuseppe e dell’altare del Crocifisso, la pavimentazione del coro dei laici, il pulpito meridionale, il tabernacolo, il nuovo organo e gli stalli del coro, e le fondazioni della facciata (ASDMi, Sezione X, Metropolitana, 67). Il 20 febbraio 1598, Lelio Buzzi viene definitivamente allontanato dalla Fabbrica (Annali, IV, 1881, p. 325); tuttavia negli anni seguenti ricompare nei contratti della Fabbrica sino a quando nel 1603, a proposito della facciata, il Capitolo ordina che «ut ne veneranda fabrica gravetur duplici salario, ordinaverunt ut supra Lelium Buzium ab hodie in antea se abstinere debere re» (1603, 18 dicembre; Annali, V, 1883, p. 19).
Giacomo da Campione è presente alla riunione indetta il 20 marzo 1388 per i presunti errori compiuti da Simone da Orsenigo nello scavo delle fondazioni del muro verso Compedo (Annali, I, 1877, p. 19), ma è documentato come ingegnere il 31 gennaio 1389 (AVFDMi, Registri, 6, f. 102r). Dal maggio 1397, Giacomo da Campione e Giovannino de Grassi sono pagati dodici fiorini al mese, anche se entrambi mantengono un assistente (Annali, I, 1877, p. 177), ed entrambi si recano dall’Arcivescovo, prima il 16 aprile 1396, per decidere le forme dei capitelli per i piloni della chiesa (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 152v), poi, il 1° agosto 1397, per ricevere indicazioni circa la dimensione della cassina in Camposanto, allora in costruzione (Annali, I, 1877, p. 178). La morte di Giovannino de Grassi nel luglio 1398 (Annali, I, 1877, p. 187) determina la promozione di Giacomo da Campione a capo ingegnere della Fabbrica e quella di Marco da Carona a secondo, ma per poco tempo, perché Giacomo muore intorno al 25 novembre 1398 (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 213v), dopo una malattia che lo aveva colpito almeno dal mese di agosto e non gli aveva permesso di ritornare a svolgere il suo incarico. Sappiamo, infatti, che la Fabbrica gli concede una sovvenzione (AVFDMi, Registri, 45, f. 138r), e che Marco da Carona riceve invece «il salario anche di quei giorni in cui fu assente, specialmente perché durante la malattia di Giacomo da Campione […] dovette lavorare più del solito» (Annali, I, 1877, p. 189).
Marco da Campione [da Frixono] compare la prima volta il 20 marzo 1388, quando presso la Fabbrica si svolge una importante riunione durante la quale egli critica duramente i lavori fatti in precedenza da Simone da Orsenigo durante lo scavo delle fondazioni, che dovevano aver interessato tutta la «tribuna» e le due sagrestie (Annali, I, 1877, p. 19). Le critiche sono accolte e, dopo essere stato ricompensato per le sue opere, Marco è stipendiato con un salario di 14 lire e 8 soldi mensili sino alla morte, avvenuta il 10 luglio 1390: «Maestro Marco da Frixone, ingegnere della fabbrica, morì in questo giorno circa all’ora dell’avemaria di mattina, ed il suo corpo fu onorevolmente sepolto nella chiesa di Santa Tecla, nello stesso giorno, dopo il pranzo» (Annali, I, 1877, p. 35).
Zeno da Campione è documentato una prima volta il 20 marzo 1388, in occasione di una importante riunione, ossia è convocato con altri maestri e ingegneri per un parere su presunti errori progettuali e costruttivi (Annali, 1877, I, p. 19). All’inizio del 1389 viene citato fra le spese della Fabbrica circa il suo salario mensile, che ammontava a «Fiorini otto e mezzo» (Annali, I, 1877, p. 22, 23).
Il 6 gennaio 1390 viene mandato, insieme a maestro Giovanni Anerlongio (così in Annali), «dalle parti del Lago Maggiore a vedervi gli interessi della fabbrica ed ordinarvi i necessari lavorerii» (Annali, I, 1877, p. 29) ed in un secondo momento gli viene assegnato il compito di stabilire i salari dei suoi sottoposti: «Si scriva a Balzarro da Lissone, Giovannolo Lignazio e maestro Zeno da Campione, officiali della fabbrica sul Lago Maggiore, di provvedere secondo la coscienza di maestro Zeno al salario dei maestri e lavoranti in quelle parti, dalle calende di marzo fino alle calende di ottobre» (Annali, I, 1877, p. 32), incarico che viene ripetuto ed esteso anche il 19 febbraio dello stesso anno: «Che maestro Zeno da Campione ingegnere della fabbrica nelle parti del Lago Maggiore […] deliberi intorno al numero dei maestri e lavoranti che vi sono necessarii, ed ai salari i da retribuirsi ai medesimi, scrivendone ai deputati» (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 3r [Cassette Ratti, 21]; Annali, I, 1877, p. 44). Dal 24 febbraio 1389 al febbraio 1393, quando è richiamato e sostituito da Gaspare da Carona (1393, 2 febbraio; Annali, I, 1877, p. 93), è uno degli “ufficiali” delle cave del Lago Maggiore. Nel 1395 Zeno da Campione è nell’elenco degli ingegneri della Fabbrica con Giacomo da Campione, Marco e Gaspare da Carona e Cristoforo da Conigo (1395, 22 agosto; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 132), ma l’anno successivo è tra i maestri richiamati da Giovannino de’ Grassi e Marco da Carona perché dai loro paesi di origine si rechino presso le cave del Lago Maggiore al fine di reperire il marmo necessario alla realizzazione delle «colonnette e degli strafori, e così quello pei tabernacoli» (1396, 27 febbraio; Annali, I, 1877, p. 159).
Franceschino [Francischino] da Cannobio è documentato fin dal 1426 come maestro «a lapidibus vivis» (Annali, Appendice 2, 1885, p. 15) e ricopre la carica di ingegnere della Fabbrica tra il 1430 e il 1459. Il 19 febbraio 1447 è attestata la ricerca di una «persona prudente ed esperta da associare a maestro Francesco da Cannobbio ingegnere, e quanto più sarà presto, sarà meglio» (Annali, II, 1877, p. 108) mentre invece il 16 ottobre 1450 leggiamo: «Essendo al servizio della fabbrica Francesco da Canobbio ingegnere, dichiarano non occorrerne altri» (Annali, II, 1877, p. 140), a conferma della stima acquisita all’interno della Fabbrica. Franceschino è ricordato dal Duca di Milano nella missiva con la quale suggerisce ai Deputati di nominare Giovanni Solari e Antonio Filarete ingegneri della Fabbrica, perché non sia deposto dal suo incarico («né volendo che magistro Franceschino de Canobio sia remosso del suo officio»; 1452, febbraio 24; ASMi, Registri Ducali, 190, pp. 152-153), sappiamo che era assunto con uno stipendio di 12 lire mensili (1452, 24 febbraio; ASMi, Registri ducali, 190, ff. 152-153; 1452, 23 ottobre; AVFDMi, Registri, 597, f. 60r; Annali, II, 1877, p. 146). Muore il 9 marzo 1459 (ASMi, Popolazione p.a., 73), preceduto nel 1456 dal figlio Ambrogio, e gli succede nella carica Guiniforte Solari, a fianco del padre Giovanni, nominato per la prima volta l’8 marzo 1459: «se e qualora il detto Franceschino mancasse» (Annali, II, 1877, p. 190) e successivamente, in modo ufficiale, il 22 marzo 1459. Quest’ultimo era stipendiato con un onorario mensile di 12 fiorini di 32 soldi 8 brenta di vino (AVFDMI, Ordinazioni capitolari, II, f. 257; Annali, II, 1877, p. 190).
Gerolamo Capitani da Sesto, pittore, elabora un progetto per la facciata nel 1608 (ASCMiBT, Raccolta Bianconi, II, 33r), ispirandosi a un precedente disegno di Francesco Maria Richino (ASCMiBT, Raccolta Bianconi, II, 29r).
I fratelli Giovanni Ambrogio e Giovanni Paolo Capitani da Sesto presentano domanda per la successione alla carica di architetto della fabbrica del Duomo nel 1629 (AVFDMi, Archivio storico, 2, 7 bis).
si veda Gorgonzola, Pietro da
Gaspare da Carona, fratello di Marco, è l’ingegnere che sovrintende nel 1393 all’estrazione di marmo vicino al Lago Maggiore, avendo egli sostituito Zeno da Campione (1393, 2 febbraio; Annali, I, 1877, p. 93), ed a sua volta è sostituito da Alliolo da Campione perché infermo (1393, 25 luglio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 72v: «Item quod magister Alliolus de Campiliono qui laborat in suprascriptis partibus lacus mayoris ponatur pro inzignerio loco magistri Gasparis de Carona infirmi ibidem inzignerii ut scripserunt officiales lacus maioris»). Nel 1399 è stipendiato mensilmente come «inzignerio deputato ad designandum laboreriorum dicte fabrice» (1399, 31 luglio; AVFDMi, Registri, 50, f. 133v; Annali, I, 1877, p. 196) e il 26 ottobre dello stesso anno è incaricato di effettuare un viaggio al monte di Domodossola con un compenso pari al suo «salario mensile di fior. 8» (Annali, I, 1877, p. 199).
Marco da Carona non compare tra i nomi dei lapicidi prima dell’ottobre 1387. Nel 1391 è registrato come ingegnere della fabbrica con Simone da Orsenigo, Giacomo da Campione e Giovannino de’ Grassi (1391, 8 ottobre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 32v) e il 10 aprile 1393 la Fabbrica non accoglie la sua domanda di aumento del salario (1393, 10 aprile; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 68v). Solamente il 2 febbraio 1396 il vicario dell’Arcivescovo fissa il suo corrispettivo in 7 fiorini e mezzo al mese, pari a 12 lire (1396, 2 febbraio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 145v; Annali, I, 1877, p. 159) e nello stesso anno si reca con gli altri ingegneri della Fabbrica – Giovannino de’ Grassi e Giacomo da Campione – dall’Arcivescovo per decidere la forma dei capitelli (1396, 16 aprile; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 152v [Cassette Ratti, 24]; Annali, I, 1877, p. 158, 162).
Il 27 febbraio dello stesso anno Marco si reca, insieme a Zeno da Campione ed altri maestri, presso le cave di marmo sul Lago Maggiore, al fine di selezionare il materiale necessario alla realizzazione de «le colonnette e gli strafori, e così quello [il marmo] pei tabernacoli» (Annali, I, 1877, p. 159).
Il 9 marzo del 1399 Marco da Carona, insieme agli ingegneri Pietro Villa, Guarnerio da Sirtori e Paolo degli Osnago, deve determinare «de grossitudine pomi araminis ponendi super capitello campanarum ecclesie» (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 220v [Cassette Ratti, 25]. Il detto capitello sarebbe dovuto essere della lunghezza di un braccio, e di un quarto di braccio per traverso (Annali, I, 1877, p. 194).
Nell’ottobre dello stesso anno Marco partecipa con Giacomelo da Venezia, Jean Mignot [Giovanni Mignoto], Antonio da Paderno e Salomone de’ Grassi alla riunione per decidere come terminare la forma della sacrestia (1399, 19 ottobre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 232v; Annali, I, 1877, p. 198) e nel 1401 si trova in disaccordo con Mignot e forse Antonio da Paderno sui disegni per le volte e altri dettagli, così che Bertolino da Novara e Bernardo da Venezia sono chiamati come esperti per dirimere la questione.
Nel maggio dello stesso anno i Deputati decidono di continuare la costruzione della chiesa seguendo l’opinione di Marco da Carona e non quella di Mignot. Nonostante il ruolo di ingegnere nel 1404 Marco partecipa con Antonio da Paderno all’incanto per la realizzazione di statue di giganti, designate dagli stessi ingegneri (1404, 14 febbraio; AVFDMi, Registri, 73, f. 117v).
Sempre nel 1404 Filippino da Modena è nominato ingegnere della Fabbrica alle sue dipendenze, per dodici anni (Annali, I, 1877, p. 263), e nel gennaio del 1405 viene inoltre affiancato da Antonio da Paderno, poco prima della sua morte che avvenne nel luglio di quello stesso anno (1405, 11 gennaio; AFDMi, Ordinazioni capitolari I, f. 360 (Cassetta 54).
Leopoldo Carrara presenta nel 1760, senza successo, la domanda per succedere a Bartolomeo Bolla nella carica di architetto della Fabbrica, dichiarando il suo alunnato presso Bernardo Maria Quarantini e Antonio Quadrio (1760, 25 aprile; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 20).
Francesco Castelli presenta almeno tre versioni di un progetto complessivo per la facciata in opposizione a quello di Carlo Buzzi, generando un lungo dibattito risolto con la decisione presa nel 1653 di seguire la proposta di quest’ultimo: alla prima, fortemente osteggiata da Richino ed elaborata prima del maggio 1648 (Annali, V, 1883, p. 223), segue un «novus modulus» che tiene conto delle critiche espresse da Richino e Buzzi, esaminato dal Capitolo dei deputati e poi inciso da Cesare Bonacina, e datato 16 novembre 1651 (Annali, V, 1883, p. 234). Il 10 marzo 1652 il Capitolo chiede un parere al romano Gian Lorenzo Bernini circa i progetti di Buzzi e di Castelli, questo apprezza il secondo suggerendo l’aggiunta di due campanili simili a quelli previsti da Buzzi nella sua proposta (Annali, V, 1883, p. 236-237). Alla morte di Carlo Buzzi il 3 ottobre 1658 Castelli presenta, senza successo, la domanda per essere assunto nel ruolo di architetto della Fabbrica, nonostante la sua formazione sia quella di pittore prospettico (1658, 3 ottobre; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 10). Nella stessa domanda ricorda che altri architetti della Fabbrica non erano in realtà architetti di formazione e menziona il fatto di avere avuto l’onore di essere stato richiesto come architetto dal Re di Spagna.
Tavanino da Castelseprio, «maestro in legname», fu incaricato della realizzazione delle volte della sacrestia il 9 luglio 1389 con una paga mensile di lire 11 e soldi 10, a patto che, se per un qualsiasi motivo non avesse potuto lavorare, tale paga fosse sospesa (Annali, I, 1877, p. 26). Nel 1390, insieme a Simone da Orsenigo, viene richiesta la sua presenza presso le cave del Lago Maggiore «per vedervi ed esaminarvi ciò che è necessario alla fabbrica» (Annali, I, 1877, p. 37), circostanza che si ripete più volte anche negli anni successivi (Annali, I, 1877, pp. 56, 86), perfino in occasione di un incidente che vide l’affondamento nel fiume Ticino di alcune imbarcazioni trasportatrici del marmo destinato la Fabbrica, nel 1393 (Annali, I, 1877, p. 103). Venne licenziato nell’aprile 1394 e sostituito da Cristoforo e Beltramo da Conigo a causa di alcuni errori commessi nella realizzazione delle centine e delle volte delle sacrestie riscontrati nel gennaio precedente (1394, 18 gennaio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 80v; 1394, 12 aprile; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 84v [Cassette Ratti, 22]). Tavanino da Castelseprio continua, tuttavia a comparire nella lista del personale coinvolto nella Fabbrica – presente in testa ad ogni anno degli Annali – negli anni 1397, 1398, 1399.
Carlo Federico Castiglione è nominato ingegnere collegiato nel 1706, dopo sei anni di apprendistato presso Attilio Arrigoni; dal 1740 risulta, oltre che «ingegnere collegiato e regio camerale», anche «pubblico lettore di Matematica e militare nelle scuole Palatine di Milano». Nel Duomo di Milano, proprio in virtù di questo ruolo, Castiglione disegna alcuni apparati effimeri nel 1735 e progetta nel 1740-1741 quelli per le esequie di Carlo VI d’Asburgo (BAMi, S 153 sup., 30-35; BAMi, S 135 sup. n. CLXI, ff. 296-298) documentati anche dall’edizione a stampa curata da Marc’Antonio Dal Re (Relazione del funerale celebrato nella chiesa metropolitana, Milano, 1741).
Cesare Cesariano il 26 novembre 1513 riceve un pagamento di 45 lire e 12 soldi per la sua attività «in pingendo salam residentie prefatorum dominorum deputatorum noviter refectam» (AVFDMi, Registri, 704, f. f. 137v [già 135v]; Annali, III, 1880, p. 165). Quando il maestro pubblica la sua edizione tradotta, illustrata e commentata del trattato di Vitruvio (Di Lucio Vitruvio Pollione de Architectura Libri Dece, Gottardo da Ponte, Como, 1521), sceglie il Duomo di Milano per rappresentare con tre xilografie l’ichnographia, l’orthographia e la scaenographia vitruviane, attraverso una pianta (f. XIVr), una sezione trasversale del corpo delle navate (f. XVr) e una sezione con delineato lo schema proporzionale del Duomo (f. XVv). Il 10 febbraio 1526 Cesariano scrive ai deputati della Fabbrica autocandidandosi alla carica di ingegnere al posto di Bernardino Zenale, morto nello stesso anno, nomina che gli viene negata (secondo un perduto documento segnalato da Venanzio De Pagave ad Antonio Francesco Albuzzi e da questi un tempo posseduto e trascritto: A.F. Albuzzi, Memorie per servire alla storia de’ pittori, scultori, e architetti milanesi, a cura di S. Bruzzese, Milano, 2015, pp. 176-177). I suoi rapporti con la cattedrale non si interrompono completamente e il 29 aprile 1535 egli risulta presente a una seduta del Capitolo della Fabbrica, insieme a Cristoforo Lombardo, Agostino Busti e Antonio da Lonate, nella quale si decide di aprire una cassa contenente disegni già appartenuti al defunto Girolamo della Porta e che questi siano consegnati a Cristoforo Lombardo (Annali, III, 1880, p. 259). Il 10 luglio dello stesso anno Cesariano è nuovamente presente insieme a Cristoforo Lombardo a una delibera relativa alla costruzione della porta verso Compedo (Annali, III, 1880, p. 260), per la quale realizza un disegno pagatogli il 1 settembre 11 lire e 4 soldi («Domino Cesari Cesariano pro quodam designo per eum facto pro porta grandi maioris ecclesie versus scalinos predicte ecclesie, et hoc de commissione capituli»; Annali, III, 1880, p. 260). Sempre per la porta di Compedo egli compare nuovamente il 17 luglio 1537, partecipando a una discussione a cui sono presenti anche Cristoforo Lombardo, Antonio da Lonate, Bambaia, Stefano da Rosate, Francesco Della Porta, i pittori Giovan Pietro Rizzolo e Nicolò Appiani, un maestro Cristoforo pittore e gli intagliatori in legno Pietro da Gallarate e Bernardino Porro (Annali, III, 1880, p. 265). Jessica Gritti
Carlo Francesco Chiesa presenta nel 1723 la domanda per succedere a Giovanni Battista Quadrio nel ruolo di architetto della Fabbrica (1723, 24 febbraio; Annali, VI, 1885, p. 100; 1723, 27 febbraio; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 16).
Camillo Cinisello, architetto collegiato nel 1679, presenta la domanda per succedere a Gerolamo Quadrio nella carica di architetto della Fabbrica (1679, 16 giugno; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 12). Nel 1686 presenta una nuova domanda per succedere ad Andrea Biffi (1686, 3 agosto; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 14).
Vincenzo Cinisello è documentato tra i candidati alla carica di architetto della Fabbrica nel 1629, dopo la morte di Fabio Mangone (AVFDMi, Archivio storico, 2, 7).
Jacques Coene [Giacomo Cova, Conna] da Bruges, pittore e architetto fiammingo residente a Parigi, compare per la prima il 13 aprile 1399, insieme a due suoi allievi, quando presumibilmente non era ancora a Milano né aveva ricevuto incarichi ufficiali (Annali, I, 1877, p. 194). Nel luglio dello stesso anno egli inizia un disegno dell’alzato del Duomo, dalle fondazioni fino alla cima (Annali, I, 1877, p. 197: «[…] designare ecclesiam a fundamento usque ad summitatem») e viene poi incaricato dal Capitolo di realizzare un modello (1399, 7 agosto; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 229r (Cassette Ratti, 25)).
Sappiamo infine con certezza che egli, partito da Parigi il 21 luglio 1399, giunge a Milano il 7 agosto, in compagnia del maestro Jean Mignot [Giovanni Mignoto] e di due allievi, e che il 14 settembre è pagato 24 fiorini, cifra che comprende anche un domestico (Annali, I, 1877, pp. 197-198).
Beltramo da Conigo e suo figlio Cristoforo sono assunti nell’aprile 1394 per rimpiazzare Tavanino da Castelseprio, ingegnere falegname, che era stato licenziato a seguito di alcuni errori commessi (1394, 18 gennaio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 80v; 1394, 12 aprile; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 84v [Cassette Ratti, 22]).
Beltramo compare tra gli ingegneri presenti alla riunione del 19 luglio 1394 quando si delibera la forma del Camposanto (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 98). Il 29 febbraio 1396 viene mandato presso il Lago Maggiore ed è retribuito con 11 lire per la sua attività come ingegnere della Fabbrica (AVFDMi, Registri, 37, f. 78v; Annali, I, 1877, p. 158), tuttavia il 14 gennaio 1397 viene messa in dubbio la sua posizione e relativa retribuzione (Annali, I, 1877, p. 172). Risulta, infatti, licenziato dalla Fabbrica il 17 gennaio 1397 (AVFDMi, Registri, 45, f. 89).
Cristoforo da Conigo, figlio di Beltramo e come questi ingegnere falegname, viene assunto insieme al padre nell’aprile 1394 per sostituire Tavanino da Castelseprio, che era stato licenziato a seguito di alcuni errori commessi (1394, 18 gennaio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 80v; 1394, 12 aprile; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 84v [Cassette Ratti, 22]). Cristoforo compare, anche in questa occasione insieme al padre Beltramo, tra gli ingegneri presenti alla riunione del 19 luglio 1394, quando si delibera la forma del Camposanto (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 98; Annali, I, 1877, p. 115).
Nel febbraio del 1396 viene mandato, insieme a Martino Bianchi di Velate, a esaminare alcuni tronchi di quercia che erano stati proposti per la realizzazione di centine all’interno della Fabbrica (Annali, I, 1877, p. 159).
È documentato un’ultima volta come ingegnere al servizio del Duomo il 27 febbraio 1396, in occasione di un aiuto economico che fornisce alla Fabbrica per il risanamento di un guasto sul Ticino; nella seconda metà del 1396, è invece menzionato frequentemente come ingegnere della Certosa di Pavia.
Antonio Maria Corbetta subentra nel 1606 ad Aurelio Trezzi nella carica di ingegnere della Fabbrica del Duomo di Milano e in questa occasione sono stabiliti dei nuovi «ordini e capitoli quali doverà da osservare l'ingegnero della veneranda Fabbrica» (1606, 3 dicembre; AVFDMi, Archivio Storico, 2, 5; Annali, V, 1883, p. 34). Nell’agosto 1607 sono riportati i primi pagamenti per alcuni disegni relativi alla facciata del Duomo; il 23 agosto dello stesso anno gli vengono commissionati i disegni dei portali maggiori della facciata (Annali, V, 1883, p. 52). Probabilmente Corbetta elabora almeno tre diverse soluzioni per la facciata, due delle quali precedenti alla definitiva risoluzione del 1609; è inoltre autore di un contributo teorico riportato tra i Dispareri (22 dicembre 1608) e di un modello ligneo, di cui sono riportati i pagamenti in data 29 dicembre 1608 (Annali, V, 1883, p. 59). Si dimette il 31 agosto 1609 dall’incarico dopo la decisione di adottare il progetto per la facciata elaborato da Pellegrino Tibaldi, sebbene modificato nell’ordine superiore (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, XXII, ff. 49-50; Annali, V, 1883, p. 63). L’anno successivo Corbetta è nuovamente chiamato in causa perché accusato – tanto da essere minacciato di scomunica – di aver sottratto i disegni originali (Annali, V, 1883, p. 68).
Lelio Cosatti, matematico e architetto senese, partecipa a Roma al Concorso clementino per la nuova sacrestia della Basilica Vaticana e redige una memoria per dimostrare inconsistenti gli allarmi sorti sulla stabilità della cupola di San Pietro. Sollecitato durante la visita del marchese Visconti a papa Clemente XII, in occasione della presentazione del progetto di Antonio Maria Vertemate Cotognola, a compilare un suo contributo alla risoluzione del problema della facciata, Cosatti invia a Milano una sua idea accompagnata da due diverse relazioni. Dell’intervento di Cosatti l’Archivio della Fabbrica conserva le due relazioni autografe, ma solo una variante grafica per «il frontespizio del secondo ordine» (AVFDMi, Archivio Storico, 136, 40).
Giovanni Battista Crespi, detto il Cerano, viene nominato responsabile di tutti gli apparati scultorei e dei disegni della Veneranda Fabbrica del Duomo a seguito dell’improvvisa morte di Fabio Mangone, che, nel marzo del 1629, apre il problema della sua successione, come documenta la lettera di Teodoro Trivulzio, in cui il cardinale espone le difficoltà di trovare un architetto romano disposto a trasferirsi a Milano AVFDMi, Archivio Storico, 2, 7 bis). Nel maggio e nel dicembre del 1629 il Capitolo decide così di non eleggere un nuovo ingegnere della Fabbrica, ma di affiancare al Cerano, pittore, Carlo Buzzi, «professore di architettura» e allievo di Mangone come suo aiuto (Annali, V, 1883, p. 155). Grazie alla disponibilità economica offerta dal lascito Carcano, Cerano aveva preparato, nel marzo del 1628, i disegni su tela per le cinque Storie da inserire nei timpani delle porte della futura facciata (Annali, V, 1883, p. 134). Nel gennaio del 1629 i cinque disegni a chiaroscuro sono esaminati e approvati, e così affidati agli scultori Gaspare Vismara, Giovanni Pietro Lavagna e Gerolamo Prevosti per la realizzazione dei modelli in terracotta. Il 5 giugno 1631 il Capitolo delibera l’esonero di Giovan Battista Crespi dalla carica di sovrintendente alla scultura, ritendendosi necessaria la presenza di un ingegnere al fianco di Carlo buzzi. Il 23 agosto dello stesso anno Cerano viene retribuito per il lavoro prestato nei circa due anni in carica (Annali, V, 1883, p. 164).
Francesco Croce presenta con successo la domanda per succedere a Bartolomeo Bolla nella carica di architetto della Fabbrica, dichiarando di aver servito già in diverse occasioni il cantiere, in particolare: nel 1733, quando esprime un suo parere scritto nell’ambito del dibattito sulle forme gotiche o “romane” della facciata (1733, 21 agosto; Annali, VI, 1885, p. 121); nel 1734, quando si propone, con Carlo Giuseppe Merlo, di elaborare un progetto per la facciata (Annali, VI, 1885, p. 123); nel 1738, quando lavora alla scala pendente della guglia maggiore verso Santa Radegonda (Annali, VI, 1885, p. 131), oppure in occasione del progetto elaborato da Luigi Vanvitelli, sempre per la facciata (1751, 20 febbraio; Annali, VI, 1885, p. 156; 1760, 25 aprile; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 20). Nel 1765 l’architetto elenca in una nota alcuni lavori straordinari, tra cui l’elaborazione della lista di tutti i modelli esistenti nella Galleria della Fabbrica, l’ideazione e il disegno del modello della Gran Guglia, l’elaborazione di disegni (pianta e spaccati) della guglia per il padre gesuita Ruggero Giuseppe Boscovich e per il padre barnabita Francesco De Regi, e, infine, l’assistenza a Francesco Martinez, architetto del Re di Sardegna, in occasione della sua venuta a Milano per la guglia maggiore (1762, 8 luglio; Annali, VI, 1885, p. 184; 1765 8 luglio; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 21).
Francesco Cusani presenta nel 1723 la domanda per succedere nel ruolo di architetto della Fabbrica al defunto Giovanni Battista Quadrio (1723, 24 febbraio; Annali, VI, 1885, p. 100; 1723, 27 febbraio; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 16).
Bartolomeo D'Arsago viene ricordato come ingegnere in una delibera datata 19 marzo 1449 (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 2, f. 65).
Giovanni Della Porta è ricordato come ingegnere in una delibera datata 4 maggio 1449 (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, II, f. 80).
Giovanni Giacomo Della Porta, figlio di Bartolomeo, documentato nel cantiere della Certosa di Pavia e poi a Genova, appartenente al ramo dei Della Porta di Porlezza, è eletto ingegnere e scultore della Fabbrica il 23 maggio 1524 (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, VII, f. 155; Annali, III, 1880, p. 229) per la sua «in architectura et sculptura longa experientia optimaque peritia». La nomina va probabilmente collegata alla morte di Cristoforo Solari, la cui scomparsa non è menzionata in nessun documento della Fabbrica. La sua presenza nel cantiere del Duomo è documentata sino al 1530, quando decide di fare ritorno a Genova. Il suo stipendio è molto più alto (262 lire annue) rispetto a quelli di Girolamo Della Porta e di Cristoforo Lombardo, entrambi ingegneri della Fabbrica nello stesso periodo (192 lire annue); lo stipendio è confermato nel 1527 (Annali, 1880, III, p. 237). Nel 1528 risulta assente per sei mesi (AVFDMi, Registri, 321).
Girolamo Della Porta, del ramo dei Della Porta novaresi, è documentato per la prima volta all’interno del cantiere del Duomo nell’ordinazione capitolare che contiene la sua ammissione tra i lapicidi del Duomo (1490, 27 maggio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 3, f. 227), inizio di un iter di apprendistato tra i pueri che servivano i maestri nelle botteghe di Camposanto, che si conclude nel 1502 quando, con un salario di otto soldi al giorno, viene ufficialmente assunto dalla Fabbrica come aiuto di Cristoforo Solari. Ancora le Ordinazioni capitolari registrano nel 1508 la sua ammissione tra i magistri a figuris della Cassina di Camposanto (1508, 30 marzo; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 5). Nel 1512, Andrea da Fusina, primo collaboratore di Amadeo, è assente dal cantiere e Girolamo viene così nominato ingegnere in aiuto dello stesso Amadeo (1512, 18 ottobre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 6; Annali, III, 1880, p. 161). Da questa data sino al 1528 è registrato il suo stipendio annuo come ingegnere della Fabbrica. Nell’agosto del 1514 viene interpellato dal Capitolo in merito alla riammissione tra gli scultori di Cristoforo Lombardo al suo ritorno da Roma (Annali, III, 1880, p. 169) e il 2 luglio 1515 ottiene dalla Fabbrica una abitazione nella Cassina in Camposanto (Annali, III, 1880, p. 175). Gli incarichi come ingegnere del Duomo prendono spessore nel 1519, quando il 19 maggio è registrata la sua presenza alla riunione per il nuovo modello ligneo (con Bernardo da Treviglio, Giovanni Antonio Amadeo, Cristoforo Solari, Giovanni da Molteno, Bartolomeo Suardi, Bartolomeo de Coiro e Antonio da Lonate; Annali, III, 1880, p. 208). In questi anni collabora sia con Giovanni Giacomo della Porta (Annali, III, 1880, pp. 235), sia con gli altri ingegneri Bernardo da Treviglio e Andrea da Fusina. Girolamo muore nel 1527 (Annali, III, 1880, p. 238) e a distanza di sette anni dalla sua morte, nel 1535, a Cristoforo Lombardo viene consegnata una cassa di suoi disegni perché siano appesi alle pareti di una apposita sala in Camposanto (Annali, III, 1880, p. 259).
Giovanni Giacomo Dolcebuono [Jo. Jacobus Dulcebonus] (morto a Milano nel 1504) figlio di Ambrogio, «dictus de Quadris», è documentato una prima volta nel 1465 come testimone di un atto con Giovanni Antonio Amadeo e Francesco Solari, rogato in Camposanto (1465, 29 marzo; ASMi, Notarile, 1537) e successivamente, nel 1470, come scholar a una riunione della Scuola dei Santi Quattro Coronati relativa alla nomina di Guiniforte Solari come procuratore della confraternita (1470, 1° ottobre; ASMi, Notarile, 1542).
Dolcebuono risulta attivo nella Fabbrica del Duomo già nel 1471, quando è formalmente annoverato nell’elenco dei lapicidi operanti nel cantiere (1471, 23 gennaio; Annali, II, 1877, pp. 271-272), ed è inoltre noto il suo coinvolgimento nella realizzazione dell’altare di San Giuseppe, relativamente al quale, tuttavia, l’entità del suo apporto è tuttora sconosciuta (1472, 4 giugno e 6 luglio; Annali, II, 1877, pp. 276-277).
Fondamentale per la carriera di Dolcebuono è la delibera del 13 aprile 1490 (1490, 13 aprile; Milano, AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 221 v.), con la quale i deputati della Fabbrica nominarono Dolcebuono e Giovanni Antonio Amadeo «architectos seu ingeniarios ad ipsum tiburium ecclesiamque», incarico mantenuto fino alla sua morte nel 1504 (1504, 3 settembre; ASMi, Popolazione p.a., 80; 1504, 31 dicembre, AVFDMi, Registri, 855, f. 259r). La nomina congiunta con Amadeo non è un dato che desta sorpresa, trattandosi della prassi comune vigente in Duomo; tuttavia, ciò che risulta evidente dai Registri della Fabbrica è la percezione del medesimo stipendio mensile di 16 lire da parte di entrambi gli architetti, elemento che suggerisce l’esercizio di un equivalente grado di autorità alla guida del cantiere. Nel corso di questi quattordici anni l’attività progettuale di Dolcebuono rimase circoscritta al già citato modello per il tiburio e a quello per il progetto della Porta verso Compedo del 1503, realizzato ancora una volta in coppia con Amadeo e per il quale gli fu saldata una somma di 101 lire, 8 soldi e 5 denari (1503, 7 agosto; AVFDMi, Registri, 855, f. 72v e AVFDMi, Registri, 297, ff. 161v, 215r).
Lorenza Giovanelli
Luca Fancelli [Paperio, Luca fiorentino] è documentato a Milano già dal 24 marzo 1487, quando è ospitato all’osteria «ad signum Cerviae» in compagnia di un «maestro a lignamine», un servo e tre cavalli (1487, 24 marzo; AVFDMi, Registri, 667, f. 12v; Annali, III, 1880, p. 35). Il suo compito, secondo i documenti della Fabbrica del 26 giugno e del 17 luglio, è quello di studiare il tiburio e i «modeli […] facti» da altri architetti – non necessariamente modelli di legno ma anche disegni –, tanto che il 14 agosto e il 3 novembre Fancelli è descritto specificamente come l’ingegnere fiorentino «deputatus ad videndum modellos tuborii» (1487, 26 giugno, 17 luglio, 14 agosto, 3 novembre e 12 e 17 dicembre; AVFDMi, Registri, 667, ff. 29r, 33r, 55v, 56r, 65v, 67r e AVFDMi, Registri, 271, f. 18r; Annali, III, 1880, pp. 38-40). Lo stesso Fancelli scrive a Lorenzo Medici una lettera nella quale accenna alla sua collaborazione per risolvere il problema della minaccia del crollo del tiburio: «La principal chagione è che la gupola del Duomo qui par che ruinava, donde s’è disfata e vassi investigando de rifarla: e per esser questo edificio sanza osa et sanza misura, non sanza difficoltà ci si provederà: dove io spero infra due mesi aver spedito qui, per quanto a me achade» (1487, 12 agosto; ASMn, Archivio Gonzaga). Sappiamo grazie a un documento del dicembre 1487 che Fancelli risiede a Milano per quasi dieci mesi dal 7 marzo a 22 dicembre (1487, 17 dicembre; AVFDMi, Registri, 667, f. 67r; Annali, III, 1880, pp. 39-40), ma non possediamo nessuna traccia del suo lavoro al Duomo e neppure in città, malgrado una così lunga permanenza. Il 19 dicembre 1487, Ludovico Sforza ringrazia il marchese di Mantova, in modo quasi eccessivo, per il lavoro svolto dall’architetto che «ita expectationem implevit ut nihil ultra ab homine peritissimo desiderari fas putaremus» (1487, 19 dicembre; ASMi, Registri delle missive, 170, ff. 71v-72r).
A distanza di tre anni, il 13 aprile 1490, Luca Fancelli è indicato dall’arcivescovo di Milano e dai deputati della Fabbrica, insieme a Francesco di Giorgio, come maestro al giudizio del quale deve essere sottoposto il progetto per il tiburio di Giovanni Antonio Amadeo e Giovanni Giacomo Dolcebuono (1490, 13 aprile; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 221v; Annali, III, 1880, p. 55). Il 19 aprile 1490, la cancelleria ducale invia due lettere di richiesta, alla Balìa di Siena per ottenere l’aiuto di Francesco di Giorgio e al marchese di Mantova per il ritorno a Milano di Fancelli (1490, 19 aprile; ASMi, Registri delle missive, 178, f. 205r-v). La formula adottata nelle due lettere è simile, ma con alcune varianti: prima di presentare la loro richiesta, i deputati dichiarano ai senesi e al marchese che stavano ricercando in altre città architetti eccellenti in grado di contribuire alla soluzione del problema presentando i loro «archetypum seu modellum» (Siena) e «l’archetypum seu, ut isti vocitant, modellum» (Mantova). Sempre il 19 aprile i deputati ordinano a Franchino Gaffurio, che si era offerto spontaneamente, di recarsi a Mantova per accompagnare Fancelli, e a Caradosso Foppa perché accompagni Francesco di Giorgio da Siena a Milano. Tra aprile e maggio a Gaffurio sono rimborsate le spese per il viaggio a Mantova per accompagnare Fancelli a Milano, ma non è per nulla certo che il fiorentino sia arrivato in città (1490, 30 aprile; AVFDMi, Registri, 673, f. 18r; 1490, 4 maggio; AVFDMi, Registri, 841, f. 53v; 1490, 18 maggio; AVFDMi, Registri, 841, f. 61r), perché non c’è traccia della sua presenza al Duomo durante tutte le discussioni tra giugno e luglio 1490. Inoltre, una lettera datata 4 giugno 1490, nella quale a Fancelli è nuovamente offerta la guida del cantiere del tiburio, ci suggerisce che Fancelli possa trovarsi ancora a Mantova (1490, 4 giugno; ASMi, Registri delle missive, 178, f. 221r-v).
Gaetano Faroni, architetto Primo aggiunto al Demanio nel luglio del 1805, non fu mai eletto architetto del Duomo, sebbene si conservi una sua richiesta (16 febbraio 1787) per essere assunto dalla Fabbrica come architetto dopo la “giubilazione” di Giulio Galliori (AVFDMi, Archivio Storico, 3, 27; Annali, VI, 1885, p. 215).
Giovanni Annex da Fernach [Giovanni da Firimburgo] è assunto dalla Fabbrica come «inzignero» e «magister a lapidibus vivis» il 1° gennaio 1391 con uno stipendio di 9 fiorini al mese, affinché «ponga in iscritto gli errori ed i dubbii che asserisce esservi nei lavori della fabbrica, onde vi si possa provvedere» (Annali, I, 1877, p. 45). Tuttavia, viene licenziato il 19 giugno dello stesso anno, per poi ricevere 8 soldi al giorno di effettivo lavoro (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 23r (Cassette Ratti, 21); Annali, I, 1877, p. 48).
Il 5 agosto 1393, nella sala del Palazzo Arcivescovile, ancora posto alle spalle del Duomo, l’arcivescovo, Giacomo da Campione e Giovannino de’ Grassi discutono collegialmente il progetto di Fernach per la decorazione della porta della sacrestia meridionale («in abreviando opus designamenti facti et incepti per Johannem Fernach pro sacrastia existente deversus stantiam praefati domini archiepiscopi, viso per eos designamento praedicto facto ad figuras et foliamina pro opere ostii dictae sacristie»), deliberando che «supra lapidem stellae acutum nihil ponatur, nisi lapis unus iam inceptus ad modum unius grupi, et supra ipso grupo, nisi lapis unus qui sit intaleatus ad crucifixum, et quod inde super nihil aliud fiat pro ipso opere de aliis operibus inde super factis in dicto designamento per dictum Johannem Fernach, et hoc quia ita abreviatum est pro utiliori, ut videtur inde magis pulchrum opus remanere» (Annali, I, 1877, p. 101).
Dionigi Maria Ferrari presenta nel 1743, senza successo, la domanda per succedere ad Antonio Quadrio nella carica di architetto della Fabbrica (1743, 2 febbraio; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 18).
Antonio Averlino [Averulino], detto il Filarete è in rapporto per la prima volta con il cantiere del Duomo il 20 dicembre 1451, quando egli stesso scrive da Milano a Piero di Cosimo Medici che Francesco Sforza vorrebbe fosse «capomaestro» del Duomo, esprimendo contestualmente le perplessità legate al suo essere straniero («ben è vero che perché sono forestieri loro ci fano ripulsa, credo pure faranno la voluntà del Signore»; 1451, 20 dicembre: ASFi, Mediceo Avanti il Principato, filza XVII, f. 99).
Il 24 febbraio 1452, infatti, Francesco Sforza scrive al vicario di provvisione e ai deputati della Fabbrica del Duomo per caldeggiare l’assunzione di Filarete e di Giovanni Solari nel ruolo di ingegneri al posto del defunto Filippo degli Organi, dividendo tra i due il medesimo salario percepito da quest’ultimo e conferendo loro gli stessi onori e comodità proprie dei predecessori in quella carica (1452, 24 febbraio: ASMi, Registri ducali, 190, pp. 152-153 [f. 84v]; rimando in ASMi, Autografi, 87/1), senza tuttavia rimuovere dal suo ufficio Franceschino da Cannobio, che almeno dal 1450 dirigeva i lavori (1450, 16 ottobre; Annali, II, 1877, p. 140).
Alcuni mesi dopo le indicazioni del duca non sono state ancora accolte da parte della Fabbrica, poiché il 7 luglio egli scrive nuovamente per ordinare in modo perentorio di dare seguito alle sue disposizioni, dopo aver saputo che fino a quel momento i deputati hanno «dato bone parole» ai due maestri, ma non li hanno voluti accettare. Il duca si mostra meravigliato che la Fabbrica non abbia provveduto alla loro assunzione «perché per uno ingegnero noy ve ne damo doi, boni, pratichi et intendentissimi al mistero loro; né per havere li dicti doi ingegneri li zonzeti più spexa di uno dinaro de quello salario et provisione dacevati al dito quondam maestro Filippino» (1452, 7 luglio; Annali, II, 1877, p. 146). Dopo l’insistenza ducale, Filarete è effettivamente assunto dalla Fabbrica e un’attestazione del suo salario, di 20 lire mensili, compare il 23 ottobre 1452 (AVFDMi, Registri, 597, f. 60r). Sembra che egli presenti subito un progetto per il tiburio, dal momento che un maestro Giovanni da Marliano, falegname, è pagato il 4 novembre 1452 per i giorni di lavoro «cum magistro Antonio de Florentia ingegnario fabricae ad fatiendam formam, prout esse debet seu contrui Tiborius in ecclesia maiori Mediolani», presumibilmente nella realizzazione di un modello ligneo (AVFDMi, Liber mandatorum, 597, f. 63r; Annali, Appendice II, 1885, p. 80).
A questo pagamento ne seguono altri due in tutto simili del 10 novembre e del 18 novembre (AVFDMi, Registri, 597, ff. 64v e 65v). Non abbiamo più notizie sull’attività di Filarete in Duomo fino al 5 luglio 1454, quando il Capitolo delibera che egli sia rimosso dal suo incarico, perché la Fabbrica non ha bisogno di lui («quod de eo fabrica non eget»: AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 2, f. 172r; Annali, II, 1877, p. 153). La delibera è poi confermata il 13 luglio (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 2, f. 174r) e di nuovo il 7 gennaio 1455, probabilmente in seguito a una richiesta di rielezione (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 2, f. 180r; Annali, II, 1877, p. 155).
Jessica Gritti
Carlo Fontana nel 1688 compie un viaggio da Roma in Lombardia, dove si ferma poco più di cinque mesi (giugno - 17 novembre 1688; Archivio di Stato di Roma, Archivio Odescalchi, III C 7). Oltre a una serie di interventi per diversi committenti (in particolare per le proprietà nel comasco della famiglia Odescalchi), non tutti andati a buon fine, tre Capitoli di cattedrali (Como, Bergamo, Milano), alla guida dunque di alcuni tra i più importanti cantieri “lombardi”, offrono a Fontana un incarico per definire il progetto di parti da molti anni rimaste irrisolte e dibattute. Tra questi, in ordine di tempo, quello del Duomo di Como è il primo nel quale l’architetto ticinese è impegnato: le tavole del suo progetto per la cupola recano, infatti, la data del 16 agosto. Il cantiere del Duomo bergamasco sembra, invece, rivelarsi quello più intraprendente nell’avanzare la richiesta di una consulenza al “cavaliere” architetto, se già il 3 settembre il tesoriere ha a disposizione la cifra per l’acconto da inviargli (Archivio Storico Diocesano di Bergamo, CAP 248, B, K), mentre poco documentato è l’incarico per il progetto della facciata del Duomo di Milano, questione che proprio in quegli stessi anni stava celebrando un secolo di dibattiti. Infatti, il 30 agosto 1688, il Capitolo, cogliendo l’occasione della sua attività in area lombarda, chiede al cavaliere Carlo Fontana un nuovo progetto per la facciata del Duomo (AVFDMi, Archivio Storico, 425, 8; Annali, VI, 1885, p. 28). Non conosciamo i motivi del mancato impegno di Fontana per questo incarico.
Andrea da Fusina, scultore e architetto della Fabbrica, compie il suo apprendistato presso la bottega di Giovanni Antonio Amadeo dal 1486 (ASMi, Notarile, 1816). Successivamente i deputati del Duomo, infastiditi dalle sue frequenti richieste di denaro per la realizzazione di una statua di Giuda Maccabeo, deliberano che gli sia corrisposto il salario giornaliero (1497, 22 giugno; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 4, f. 183v; Annali, III, 1880, p. 94). Nel 1503 Fusina presenta un suo progetto per la porta verso Compedo, sottoposto al giudizio di Giovanni Antonio Amadeo e Giovanni Giacomo Dolcebuono, Bartolomeo Briosco e Cristoforo Solari (1503, 3 luglio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 4, f. 351v; Annali, III, 1880, p. 125). Nel 1506 i deputati nominano ufficialmente Fusina ingegnere-aiutante di Amadeo perché possa apprendere i “segreti” della Fabbrica (1506, 19 febbraio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 5, f. 15v-16v; Annali, III, p. 135), ma nel 1508 egli si oppone al suo maestro e affianca Cristoforo Solari quando il Capitolo si trova a deliberare su una delle quattro guglie del tiburio (1508, 17 gennaio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 5, f. 147v). Lo scontro ha come esito l’allontanamento sia di Fusina che di Solari dal cantiere; per cui Andrea decide di partire per un viaggio di studio e devozione verso Loreto e Roma, ottenendo una somma di denaro «pro eundo pro sua devotione ad visitandum templum gloriosissime Virginis Maria de Loreto et curiam Romanam» (1508, 19 ottobre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, V, f. 171v; Annali, III, 1880, p. 143). Già nel 1510, dopo aver sollecitato un aumento di stipendio (1510, 28 febbraio; Annali, III, 1880, p. 149), Fusina è convocato con Amadeo, Leonardo da Vinci e Cristoforo Solari come membro di una commissione chiamata a esprimersi sulla forma degli stalli del coro (1510, 21 ottobre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, V, f. 246r). Nel maggio 1511 si interessa, al fianco di Amadeo, della convenzione con una cava di marmo nei pressi di Ornavasso (Annali, III, 1880, pp. 154-156). Probabilmente Fusina parte per un secondo viaggio se nel 1512 la Fabbrica si vede costretta a sostituirlo con Girolamo della Porta (1512, 22 luglio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 6, ff. 70r-70v; Annali, III, 1880, p. 160), mentre è sicuramente documentato a Roma nel 1514. Il 17 luglio 1525 è nuovamente eletto ingegnere e scultore della Fabbrica con uno stipendio di 16 lire mensili (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, VII, f. 157v; Annali, III, 1880, p. 232), ma muore pochi mesi dopo il 13 gennaio del 1526 ed è sostituito da Cristoforo Lombardo (Annali, III, 1880, p. 234).
Ulrich Füssingen [Ulrico di Frisinga, Ensingen] (1350 - Strasburgo, 1419) è attestato la prima volta per una richiesta di consulenza, priva di esito, da parte della Fabbrica del Duomo, nel 1391 (Annali, I, 1887, p. 51). Dal marzo 1394 il suo nome ricompare nei verbali della Fabbrica: giunto in aprile ed assunto il 15 novembre con un contratto di quattro mesi, l'architetto tedesco fu invitato a esporre, il 26 dicembre 1394, le sue opinioni sui difetti da lui riscontrati nella costruzione del Duomo (Annali, I, 1877, p. 125).
Esito della lunga discussione fu una convenzione nella quale si specificava l'impegno di non demolire quanto già fatto; vi fu, inoltre, l'approvazione del progetto – sottoscritta dai rappresentanti delle istituzioni comunali – e dei disegni di Füssingen, Giovannino de' Grassi e Giacomo da Campione.
Il 21 febbraio 1395 Füssingen viene assunto con uno stipendio di 20 lire, un'abitazione e la provvisione di vino, a condizione di rimanere per quattro anni al servizio della Fabbrica (Annali, I, 1877, p. 132). Tuttavia, già durante il mese successivo (1395, 25 marzo), il maestro tedesco si rifiutò di eseguire i progetti deliberati, in particolare per quanto riguarda le modifiche da apportare alla grande finestra centrale dell’abside e ai capitelli, disegnati probabilmente da Giovannino de' Grassi: «Gli domandarono altresì se voleva fare i capitelli dei piloni, e rispose non voleva farli nella misura adottata pel primo capitello, ora finito. Queste risposte furono date a mezzo di Enrico de' Effelin di Ulma, tedesco, interprete, il quale rispondeva da parte del maestro Ulrich, soggiungendo anzi che voleva piuttosto andarsene anziché rispettare i disegni fatti dagli altri. Gli fu detto non volersi per nulla variare il già incominciato ordine della chiesa, né atterrare alcuna parte del già fatto, per non affievolire la devozione dei cittadini milanesi» (Annali, I, 1877, pp. 133-134). A causa di questi dissidi, il Capitolo optò per il suo immediato licenziamento (1395, 13 aprile; Annali, I, 1877, p. 135).
Giulio Galliori dopo essersi inutilmente candidato in due occasioni (il 25 aprile 1760 e il 12 agosto 1773) al ruolo di architetto, accettando anche la condizione di restare senza salario fino alla morte di Francesco Croce, è eletto alla carica nel dicembre 1773 (Annali, VI, 1885, p. 190). Nella richiesta, presentata nel 1760, Galliori accenna al suo alunnato presso l’ingegnere Carlo Giuseppe Merlo e afferma di avere elaborato alcuni disegni per la Fabbrica (1760, 25 aprile; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 20). L’11 ottobre 1785 Galliori presenta le proprie dimissioni per l’età avanzata e conseguenti motivi di salute, supplicando di ricevere il vitalizio. Alla richiesta, reiterata il 16 febbraio 1787, non viene dato seguito, dal momento che era stata sospesa la nomina del sostituto, fino a che non fosse stata portata a termine la riorganizzazione delle fabbricerie della città (AVFDMi, Archivio Storico, 3, 27bis). Il 17 ottobre 1787 Galliori presenta al Capitolo una propria proposta per la facciata con una relazione accompagnatoria, in cui denuncia gli errori che sarebbero occorsi, qualora i lavori fossero proseguiti come si era fatto fino ad allora (la lettera accompagnatoria, datata 6 ottobre 1787, è conservata in AVFDMi, Archivio Storico, 136; la relazione e il disegno si trovano in AVFDMI, Archivio Storico, 152; riportato anche in Annali, VI, 1885, p. 216). Il 21 giugno 1790 Galliori delibera l’avvio dei lavori per la realizzazione della facciata secondo il progetto di Carlo Buzzi. I lavori iniziano dal pilastro di facciata verso la regia corte (Annali, VI, 1885, p. 221). Il 10 settembre 1795 Galliori dà ufficialmente le dimissioni dalla carica di architetto della Fabbrica (AVFDMi, Archivio Storico, 3, 28; Annali, VI, 1885, p. 234) pochi mesi prima della morte avvenuta il 9 dicembre.
Agostino Gerli fa domanda l’8 gennaio 1787 per un posto in Fabbrica come coadiutore di Giulio Galliori, ma il principe Wenzel Anton von Kaunitz-Rietberg, cancelliere dello stato austriaco, non ritiene opportuna la richiesta (ASMi, Culto, p.a., 1044).
Melchiorre Gherardini è ricordato in un’unica occasione, quando, in una riunione tenutasi il 22 marzo 1653, i deputati della «Congregazione della Cassina esaminano attentamente tutti i disegni e i modelli della nuova facciata disegnati da Tibaldi, Buzzi, Richino e Castelli e Melchiorre Gherardini e confermano la precedente scelta favorevole al progetto di Carlo Buzzi, accettando le modifiche apportate da Buzzi stesso alla prima proposta (AVFDMi, Archivio Storico, 135, 21).
Giovanni Giattini, padre gesuita, nel 1652 invia da Roma un parere sui progetti per la facciata elaborati da Francesco Castelli e da Carlo Buzzi (Dibattiti, XI, 9).
Cristoforo da Giona [Cristoforo da Chiona], lapicida, compare per la prima volta all’interno della Fabbrica del Duomo nel 1400, nominato ingegnere con una paga di 17 soldi per ogni giorno di lavoro, ma solo nella stagione estiva (Annali, I, 1877, p. 212). Successivamente lo ritroviamo con la mansione di «maestro in pietre vive», nel 1403 (Annali, I, 1877, p. 255), e viene poi rieletto ingegnere il 19 settembre 1406 (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 137).
Alla fine del 1408 lo vediamo impegnato nella riparazione del tetto della sacrestia meridionale e del Camposanto (1408, 16 dicembre; Annali, I, 1877, p. 287), mentre nel 1410 egli si occupa, insieme agli ingegneri Filippo da Modena, Giovanni Antonio Magatti e Nicolino de Bozardi, della costruzione di archi e volte della navata maggiore (1410, 16 settembre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, ff. 440r-441r (Cassette Ratti, 29); Annali, I, 1877, pp. 302-304).
Cristoforo da Giona viene licenziato, insieme ai suddetti colleghi, il 14 novembre 1413, ma è loro concessa la possibilità di continuare a «lavorare a utile della fabbrica in ciò in cui sono esperti», e gli si corrisponde quindi, eventualmente, una paga quotidiana analoga a quella degli ingegneri in carica (Annali, II, 1877, p. 9). Cristoforo da Giona continua dunque a lavorare per lunghi periodi a Candoglia almeno fino al 1434, dopo essere stato nominato, nel 1415, «maestro in scolpire marmi e qualunque altra pietra, tanto in figure umane quanto di animali qualsiasi», con una paga di 8 soldi per ogni giorno di lavoro (Annali, II, 1877, p. 15).
Giulio Pippi [detto Romano] progetta nel 1541 una parte degli apparati trionfali per l’arrivo a Milano di Carlo V d’Asburgo, imperatore e duca di Milano, incaricato dal marchese Del Vasto; anche il Capitolo della Fabbrica approva la costruzione di una «antiportam pulcram ante portam magnam predicte Maioris ecclesie versus plateam ipsius ecclesie pro introitu predicte maiestatis cesaree» (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, IX, f. 228v). In questa occasione i deputati deliberano di chiedere un parere a Giulio Romano sulla annosa questione della porta verso Compedo discussa l’anno precedente (1541, 11 luglio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, IX, f. 253; Annali, III, 1880, p. 277).
Maffiolo da Giussano, notaio, architetto e ingegnere esperto di acque, è uno dei giudici nominati per il concorso della nuova porta del transetto settentrionale (1503, 23 febbraio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, IV, f. 340v).
Antonio da Gorgonzola è un ingegnere della Fabbrica documentato per la prima volta nel 1402 relativamente a uno strumento per tagliare la pietra azionato da un cavallo e da quattro uomini (1402, 28 maggio; Annali, I, pp. 248-249); ancora, nel 1420 viene incaricato, insieme a maestro Filippino da Modena, del progetto e della messa in opera del pavimento in mattoni del coro (Annali, II, 1877, p. 35) e della copertura di tutta la parte del Duomo fino ad allora eretta mediante un tetto provvisorio in tegole e travi, al fine di riparare la fabbrica dai fenomeni meteorici (1420, 11 giugno; Annali, II, 1877, p. 36).
L'anno successivo egli provvede alle riparazioni della parte più alta del campanile, realizzato ventisette anni prima in legno in corrispondenza della facciata (1421, 20 aprile; Annali, II, 1877, p. 36).
Nel 1439 Antonio da Gorgonzola elabora un disegno insieme ad Antonio Briosco per un cero pasquale per il tabernacolo, con venticinque figure – comprendenti dodici apostoli, dodici profeti e Gesù Cristo – (1439 gennaio; Annali, Appendice II, p. 44).
Egli risulta annoverato fra gli ingegneri in carica fino al 1445, variamente affiancato da altri maestri. Sappiamo, inoltre, che nel 1442 si occupa per conto della Fabbrica di affittare a Protasio Luoni una casa presso il Laghetto di Santo Stefano (1442, 7 febbraio; ASMi, Registri, 878, f. 185).
Pietro da Gorgonzola [Pietro Carminati de Brambilla] viene ricordato da Donato Bramante, insieme ad altri – Giovanni Antonio Amadeo, Leguterio, Antonio da Pandino e Giovanni Molteno – nella sua Opinio super domicilium seu templum magnum (c. 1487), relativa al completamento del tiburio, come autore di un modello: «Cerca il fondamento, magistro Petro de Gorgonzola me pare haver assai ben veduto, anci meglio che nisuno de li altri, per certi soprarchi ch'el buta da la summità de l'archo mastro a quello del fiancho, et è stato semenza de trovargli etiam megliore modo» (Annali, III, 1880, p. 63). Il progetto di Pietro da Gorgonzola, di forte influenza lombarda, constava di un tiburio presumibilmente ottagonale dove al posto dei “pennacchi a padiglione” (che non sono comuni pennacchi sferici) sono utilizzati degli archetti – o meglio dei pennacchi a tromba con archetti decrescenti – detti appunto «soprarchi», progettati al fine di ovviare alla necessità di passare da una base d’appoggio quadrata a una ottagonale: il tutto era stato dettato dalla necessità di offrire una solida base d’appoggio per il tiburio.
Il 31 maggio 1488 è emesso un mandato di pagamento a favore di «magistro Petro de Gorgonzola, inginiario communis Mediolani et ducalis camerae, pro eius remuneratione modeli per eum facti in anno proxime praeterito de tuburio praefatae maioris ecclesiae, qui modelus destructus fuit in eius absentia, pro faciendo unum alium modelum de materia dicti modeli magistri Petri suprascripti, libras undecim et soldos decem imperialium» (1488, 31 maggio; AVFDMi, Registri, 669, f. 28; AVFDMi, Registri, 277, f. 79r; Annali, III, 1880, p. 42).
Giovanni [Giovannino] de Grassi (- 1398) è menzionato una prima volta come pittore della Fabbrica il 22 ottobre 1389 (AVFDMi, Registri, 6, f. 252v) e già nel gennaio del 1390 è incaricato di realizzare alcuni disegni (Annali, I, 1877, p. 29). È assunto nella carica di ingegnere della Fabbrica l’11 luglio 1391 «per i quattro mesi prossimi futuri» ed è stipendiato con una paga che ammonta a 12 fiorini d’oro: da questo contributo sono esclusi però gli stipendi dell’aiutante e dell’inserviente che gli si affiancano (AVFDMi, Registri, 12, f. 234v; Annali, I, 1877, pp. 50-51).
A Giovannino, come agli ingegneri che collaborano in questo periodo alla conduzione del cantiere, si devono i disegni per i capitelli – la cui ideazione, esecuzione e messa in opera sono databili tra il giugno e il dicembre 1393 – i trafori dei due finestroni laterali del deambulatorio (1392-1395; Annali, I, 1877, pp. 150, 156) e il disegno della sezione trasversale del Duomo, commissionato a lui e a Giacomo da Campione il 22 novembre 1394: «Item quod per magistros Iacobum de Campiliono et Iohanninum de Grassis inzignarios fabrice fiat designamentum mensurae traversus externum et internum fabrice, et versus sacristias, et altitudinis ecclesiae» (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 105v [Cassette Ratti, 23]; Annali, I, 1877, p. 120).
Giovannino compie numerosi viaggi alle cave del Lago Maggiore insieme a Marco da Carona nel 1396 (Annali, I, 1877, pp. 158-159), mentre insieme a Giacomo da Campione si occupa della Cassina in Camposanto nel 1397 (Annali, I, 1877, p. 178). A Giovannino de Grassi si deve il primo modello ligneo completo del Duomo, distrutto da un incendio, iniziato nel 1395 ma concluso postumo, nel 1399 (1399, 14 dicembre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 235r). Egli viene annoverato fra gli ingegneri della Fabbrica fino al 1398, anno della sua morte, avvenuta poco prima del 6 luglio (AVFDMi, Registri, 45, f. 124v) e sono riportate negli Annali le spese per le sue esequie, che ammontano a 7 lire 12 soldi e 6 denari (Annali, I, 1877, p. 187).
Salomone de Grassi, figlio di Giovannino, fu eletto «pro designatore Fabrice» secondo un documento del novembre 1398 (AVFDMi, Registri, 46, f. 161v; Annali, I, 1877, p. 189). Nell’anno successivo egli è citato come pittore ed si specifica che, a causa di un lavoro per il duca che Salomone sta svolgendo nel medesimo periodo, la Fabbrica del Duomo si riserva il diritto di detrarre un fiorino dalla sua paga mensile (Annali, I, 1877, p. 196). Sempre nel 1399, insieme a Marco da Carona, Giacomo da Venezia, Jean Mignot e Antonio da Paderno, si occupa di completare la costruzione della sacrestia meridionale (Annali, I, 1877, pp. 198-199). Salomone de Grassi è salariato come ingegnere della Fabbrica sino a mese di giugno 1400 (AVFDMI, Registri, 52, f. 124) e probabilmente muore o lascia la Fabbrica tra i mesi di luglio e novembre 1400.
Paolo Groppi [Paolo Gruppo] nel dicembre del 1754 presenta ad Antonio Arconati, notaio della Fabbrica, un nuovo progetto per la facciata (AVFDMi, Archivio Storico, 151, 27bis; Annali, VI, 1885, p. 166). Nella lettera autografa racconta di essere venuto a Milano perché sollecitato dai «più virtuosi», dai cardinali e dal papa, tanto da richiedere un rimborso di 1000 scudi. Il 23 dicembre, convocati gli architetti Carlo Giuseppe Merlo, Bartolomeo Bolla e Francesco Croce, il progetto di Groppi è esaminato e rifiutato soprattutto per la poca coerenza del portico e dei campanili con quanto già realizzato (AVFDMi, Archivio Storico, 433; Annali, VI, 1885, p. 166).
Giovanni Battista Guidabombarda presenta domanda per la successione alla carica di architetto per i beni forensi nel 1629, in seguito alla morte di Fabio Mangone (AVFDMi, Archivio storico, 2, 7 bis). L’8 marzo 1646 è chiamato dal Capitolo, come ingegnere collegiato, a guidare, con Carlo Cesare Osio, una commissione di esperti con il compito di stabilire la decorazione scultorea della volta nella cappella della Madonna dell’albero (Annali, V, 1883, p. 215).
Andriolo da Inzago è elencato come ingegnere all’interno della Fabbrica nel 1427 (Annali, II, 1877, p. 52) e nel 1433 (Annali, II, 1877, p. 60).
Lorenz Lechler [Lorenzo de Alemania] compare una sola volta tra i documenti della Fabbrica, il 23 giugno 1489, quando un altro tedesco, Simone Bruno, si presenta presso il Capitolo per conto di mestro Lorenzo «inginiarii in Alamania maiori, quod ipse paratus est se transferre Mediolanum» in relazione a un possibile incarico per il completamento del tiburio. La Fabbrica, tuttavia, non accoglie la proposta e dichiara che non vi è nessun motivo per cui Lechler dovrebbe trasferirsi a Milano (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 200r; Annali, III, 1880, p. 49).
Leonardo da Vinci risulta presente nel cantiere del Duomo solo in due occasioni. La prima quando è consultato con altri ingegneri per la ricostruzione del tiburio, per il quale nell’agosto e nel settembre del 1487 la Fabbrica emette alcuni mandati di pagamento a favore del maestro fiorentino «qui habet honus faciendi modelum unum tuburii praefatae ecclesiae juxta ordinationem factam in consilio praefatae fabricae super ratione faciendi dictum modelum» (1487, 8 agosto, AVFDMi, Registri, 667, ff. 37v e 263, f. 81v; 1487, 30 settembre, AVFDMi, Registri, 667, f. 49v; AVFDMi, Registri, 277, f. 49v; Annali, III, 1880, p. 38). Ancora nel gennaio del 1488 è emesso un mandato a favore di «magistro Leonardo florentino super ratione laborum per eum passorum et supportatorum in fieri faciendo modelum unum tuburii praefatae ecclesiae» (1488, 11 gennaio; AVFDMi, Registri, 669, f. 3r). Il modello ligneo è però ritirato dallo stesso Leonardo il 10 maggio 1490 perché fosse aggiustato, ordinazione alla quale fanno seguito alcuni mandati di pagamento («Insuper proposito ibidem per magistrum Leonardum florentinum pro modelo tuburii praefate ecclesie, ipse magister Leonardus vellet adere spalas ei areptas seu devastatas, ex quibus ipse modelus cognoscetur perfectus et propterea requisivit eidem dari debere, offerens redere et consignare ad omnem requisitionem praefate fabrice, attento quia ipse magister Leonardus satisfactus est de mercede constructionis ipsius modeli, ordinatum est ipsum modelum eidem magistro Leonardo dari debere cum hac conditione quod ipse magister Leonardus dictum modelum restituat ad omnem requisitionem dominorum deputatorum praefate fabrice»; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 3, f. 224v).
La seconda occasione che vede Leonardo coinvolto nelle opere della Fabbrica è quando i deputati ordinano a un gruppo di persone autorevoli di discutere l’argomento degli stalli di coro, tra questi Leonardo da Vinci, Cristoforo Solari, Giovanni Antonio Amadeo e Andrea Fusina (1510, 21 ottobre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, V, f. 246r; Annali, III, 1880, p. 153).
Pirro Ligorio è l’autore del progetto per l’altare di Pio IV posto in corrispondenza della campata angolare a ovest della testata del transetto meridionale, come chiarisce un disegno oggi conservato tra le pagine di un codice della Bodleian Library di Oxford (Ms. Canonici ital. 138, f. 97).
Cristoforo Lombardo, figlio di Domenico, scultore e poi architetto della Fabbrica, è documentato dal 1510 (1510, 16 luglio; Annali, III, 1880, p. 152). Nel dicembre del 1514 è riammesso tra gli scultori del Duomo dopo una licenza ottenuta per recarsi a Roma (Annali, III, 1880, p. 169) e il 16 settembre 1516, con Ambrogio Porro e Antonio Ferrari, si impegna a realizzare una nuova guglia e due archi rampanti (Annali, III, 1880, p. 190). Nel giugno del 1518 ottiene dalla Fabbrica la licenza per poter lavorare, con Giovanni Ambrogio da Cremona e Agostino del Pozzo, al monumento funerario in onore del duca di Nemours Gastone di Foix da realizzare nella chiesa di Santa Marta (Annali, III, 1880, p. 196). Alla morte di Andrea Fusina, Lombardo è nominato ingegnere con uno stipendio di 192 lire, incarico che svolge con Girolamo Della Porta e Giovanni Giacomo Della Porta (1526, 15 gennaio; Annali, III, 1880, p. 234) e successivamente come unico responsabile con uno stipendio di 24 lire mensili (Annali, III, 1880, p. 244). Nel 1534 gli sono detratte 66 lire dallo stipendio perché si trova al servizio di Massimiliano Stampa (Annali, III, 1880, p. 257). Dopo la discussione sui modelli per la porta del transetto settentrionale nel 1535 (Annali, III, 1880, p. 259), il 31 dicembre 1537 è pagato per un nuovo modello (Annali, 1880, III, p. 267) e nel 1540 redige, con Baldassarre Vianelli la relazione sui lavori di costruzione della porta (Annali, III, 1880, p. 274). Nel 1545 Lombardo ottiene una licenza per andare a Bologna per elaborare un progetto per la facciata di San Petronio (Annali, III, 1880, p. 296) e l’anno successivo è richiamato per dare avvio ai lavori per il nuovo campanile e concludere quelli già iniziati ai contrafforti (Annali, III, 1880, p. 297). Malato di gotta, negli ultimi anni di vita Lombardo viene affiancato da Baldassare Vianelli da Padova e poi da Vincenzo Seregni (1555, 24 ottobre; Annali, IV, 1881, p. 20).
Onorio Longhi è tra i protagonisti del travagliato dibattito per la facciata del Duomo tra gli anni 1607 e 1609. Controversa è la questione circa il suo contributo: nel luglio del 1607 gli vengono pagati due disegni (1607, 9 luglio; Annali, V, 1883, p. 52), che sono oggi persi. Oltre al dato del pagamento, abbiamo una breve descrizione della proposta di Onorio Longhi del 25 luglio 1654, riportata nei Pareri per la facciata del duomo (ASDMi, Sezione X, Metropolitana, 77), dalla quale emerge l’influenza sul progetto delle sperimentazioni romane (in particolare di Carlo Maderno) sul ritmo con ordine gigante per le facciate di edifici religiosi. Unico disegno coerente con il contenuto del Parere sembra essere l’anonimo progetto conservato alla Biblioteca Ambrosiana, sul cui verso compare il nome di Giovanni Battista Mangone (BAMi, F 251 inf., 104-105).
Giovanni Paolo Lucino è documentato tra i candidati alla carica di architetto della Fabbrica nel 1629, dopo la morte di Fabio Mangone (AVFDMi, Archivio storico, 2, 7).
Carlo Antonio Maffezzone presenta domanda per la successione alla carica di architetto o ingegnere nel 1638, in seguito alla sospensione da tale carica di Francesco Maria Richino (AVFDMi, Archivio storico, 2, 8 bis).
Giovanni [Giovannino de’] Magatti viene nominato ingegnere il 3 marzo 1390 con un salario di 6 fiorini ed è ricordato al punto 19 della discussione in risposta alle osservazioni di Jean Mignot dell'11 gennaio 1400 (Annali, I, 1877, p. 205).
Ancora nel settembre 1409 egli fa parte di una commissione con Filippo da Modena e frate Giovanni da Giussano, esperto di geometria, per valutare alcuni dubbi sul proseguimento della costruzione (1409, 1 settembre; Annali, I, 1877, p. 293), mentre il 16 settembre 1410 partecipa a una riunione durante la quale vengono deliberate importanti decisioni sull'assetto costruttivo del Duomo: in questa occasione compare ancora in compagnia di Filippo da Modena e frate Giovanni da Giussano, ma sono presenti anche Cristoforo da Giona e Nicolino de Bozardi, anch’essi ingegneri della Fabbrica (Annali, I, 1877, pp. 302-304).
Magatti viene licenziato il 14 novembre 1413 e gli è concessa, qualora lo desideri, una mercede quotidiana come agli altri maestri della Fabbrica (Annali, II, 1877, p. 9).
Stefano Magatti, figlio di Giovanni, ingegnere il cui nome è ricordato nell’elenco degli ingegneri presenti nella riunione del primo maggio 1392 (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 43v; Cassette Ratti, 21; Annali della Fabbrica del Duomo di Milano dall’origine fino al presente pubblicati a cura della sua Amministrazione, I, Milano 1877, pp. 68-69). In uno dei registri della Fabbrica (AVFDMi, Registri, 34, f. 25v) sono ricordati alcuni pagamenti per lavori realizzati tra il 1391 e il 1394 grazie a una serie di donazioni di Andreotto del Maino, fra i quali ne figura uno datato 7 marzo 1392 per un importo di sedici fiorini agli ingegneri Stefano Magatti e Bernardo da Venezia.
Bartolomeo Malatesta, architetto collegiato nel 1653, nel 1658 presenta una prima domanda per succedere nella carica di architetto della Fabbrica in seguito alla morte di Carlo Buzzi, nella quale ricorda di aver collaborato con Buzzi stesso (1658, 3 dicembre; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 10); presenta poi domanda ancora nel 1679 per succedere a Gerolamo Quadrio (1679, 16 giugno; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 12).
Fabio Mangone, figlio di Giovanni Battista, noto intagliatore del Duomo; è documentato nel cantiere del Duomo dal 1614, quando è pagato per alcuni disegni e progetti per la cappella della Beata Vergine dell’Albero (1614, 22 dicembre; AVFDMi, Ordinazioni Capitolari, 24; Annali, V, 1883, p. 92). Al 10 ottobre 1615 è datato un altro mandato di 120 lire (20 scudi) per le «fattiche che ha fatto per servitio di questa veneranda fabrica de disegni straordinari et altro» (AVFDMi, Mandati, 1616; Annali, V, 1883, p. 95). Il 22 maggio 1617 è nominato architetto della Fabbrica succedendo ad Alessandro Bisnati con uno stipendio di 400 lire e superando la candidatura di Giovanni Paolo Bisnati (AVFDMi, Archivio Storico, 2, 5bis; Annali, V, 1883, p. 101). In questo ruolo, dal 1618 al settembre del 1623, Mangone si occupa: del completamento della cappella della Beata Vergine dell’Albero (dicembre 1617; Annali, V, 1883, p. 102), del pavimento del Duomo e della sacrestia degli ordinari (1618; Annali, V, 1883, pp. 104-107); della realizzazione dei nuovi capitelli per la navata maggiore, del parapetto del coro verso il Camposanto e dei nuovi armadi per la sacrestia degli ordinari (Annali, V, 1883, pp. 119-128). Tra il 1624 e il 1625 Mangone si deve difendere da una lunga serie di accuse (28) su alcune inadempienze nello svolgimento del suo ruolo (AVFDMi, Archivio Storico, 2, 7b; Annali, V, 1883, p. 133), risultando assolto il 5 maggio 1625 (AVFDMi, Archivio Storico, 2, 7c). Nell’autunno del 1626 si occupa della decorazione della sacrestia settentrionale del Duomo, per la quale commissiona a Giovanni Battista Quadrio una statua raffigurante Sant’Agnese, il cui pagamento è registrato il giorno 21 ottobre (Annali, V, 1883, p. 138), e della volta del coro, con motivo a cielo stellato, eseguita da Antonio Veglia (Annali, V, 1883, p. 138). Tra il 1627 e il 1628, sino al fallimento, è responsabile della cosiddetta impresa della colonna (AVFDMi, Archivio Storico, 2, 7d). Fabio Mangone muore nel settembre del 1629, è nominato suo successore Giovanni Battista Cerano, coadiuvato da Carlo Albuzzi (Annali, V, 1883, p. 155). Nel dicembre dello stesso anno gli eredi di Mangone chiedono il pagamento del salario per i mesi di gennaio e febbraio e il pagamento dei disegni rimasti presso la Fabbrica (1629, 20 dicembre; AVFDMi, Archivio Storico, 2, 7d; Annali, V, 1883, p. 157).
Giovanni Battista Mangone, padre di Fabio Mangone, risulta in contatto con la fabbrica del Duomo dal 17 luglio 1585, quando gli viene commissionata la realizzazione degli apparati effimeri per l’elezione dell’arcivescovo Visconti (Annali, IV, 1881, p. 221); svolge la sua attività prevalentemente come intagliatore ligneo e falegname dal 1589 al 1625. Nel marzo del 1605 Mangone presenta domanda come architetto della Fabbrica, tuttavia, dopo una votazione dei deputati conclusa in parità, gli viene preferito Francesco Maria Richino, il cui nome è estratto a sorte (AVFDMi, Archivio Storico, 2, 4). Nel 1614 Giovanni Battista Mangone viene coinvolto nella questione dello smarrimento del modello ligneo della facciata elaborato sul progetto di Pellegrino Tibaldi; l’intagliatore si difende accusando Virgilio de’ Conti (Annali, V, 1883, p. 86); nel settembre dello stesso anno realizza un pannello ligneo per il coro con una delle storie di sant’Ambrogio (Annali, V, 1883, p. 91). Nel 1618 si reca a Baveno con il figlio Fabio per l’impresa della colonna (1618, 8 marzo; Annali, V, 1883, p. 105). Nel 1629 ricorda che Carlo Buzzi era stato allievo del figlio Fabio (1629, 10 novembre; AVFDMi, Archivio Storico, 2, 7 bis). Il nome di Giovanni Battista Mangone compare inoltre sul retro di un progetto anonimo per la facciata, di incerta attribuzione ad Onorio Longhi (BAMi, F 251 inf., f. 104).
Giulio Cesare Mangone, secondo figlio di Giovanni Battista Mangone, è attivo nella fabbrica del Duomo come scultore e intagliatore, nel 1606 conclude il ciclo di bassorilievi lignei con le storie di sant’Ambrogio per le pareti gli stalli del coro del Duomo (Annali, V, 1883, p. 64); nel 1617 realizza delle «istorie d’angeli musicali» per le cantorie del coro (Annali, V, 1883, p. 103). È inoltre documentato tra i candidati alla carica di architetto della Fabbrica nel 1629, dopo la morte del fratello Fabio (AVFDMi, Archivio storico, 2, 7).
Alexandro da Marpac, ingegnere teuthonico tedesco, è documentato come «subtus inginierius» nei lavori di ricostruzione del tiburio diretti da Giovanni da Graz, dopo il fallimento di quello iniziato su progetto di Guiniforte Solari (Annali, III, 1880, p. 22). I pagamenti corrispostigli coprono un arco cronologico dal 16 gennaio 1484 al febbraio 1486 (AVFDMi, Registri, 661; Annali, III, 1880, p. 33).
Francesco di Giorgio Martini (Siena, 1439 - Siena, 1501) è presente sul cantiere del Duomo dal 13 aprile 1490, in relazione al tiburio (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 221v). Dopo una prima fase concorsuale tra il 1487 e il 1488, l'arcivescovo di Milano e i deputati alla Fabbrica del Duomo, considerando l’assenza di un ingegnere in grado di portare a conclusione il tiburio e la chiesa stessa, decidono di chiamare a consulto Francesco di Giorgio Martini e, nuovamente, Luca Fancelli, allora al servizio del duca di Mantova (Annali, III, 1880, p. 55).
Il successivo 19 aprile il duca di Milano domanda ai Governatori del popolo di Siena il permesso che Francesco di Giorgio si rechi a Milano per formare «fornix seu tiburium» (1490, 19 aprile; ASMi, Registri delle missive, 178, f. 205r-v) e contestualmente i Deputati ordinano che Caradosso Foppa raggiunga Siena per accompagnarlo (1490, 19 aprile; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 222r).
Il 20 maggio il Capitolo dà disposizioni per una abitazione per il Senese (1490, 20 maggio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 226; Annali, III, 1880, p. 57), mentre il 31 maggio è convocata una riunione alla quale l'architetto partecipa esprimendo un primo parere (1490, 31 maggio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 227v): in questa occasione sono presenti anche i maestri Giovanni Antonio Amadeo e Giovanni Giacomo Dolcebuono; tuttavia non viene deliberata alcuna precisa decisione in merito alla costruzione del tiburio (Annali, III, 1880, p. 59). Nel frattempo il duca chiede ai Deputati il permesso che Francesco di Giorgio possa recarsi a Pavia per il cantiere della nuova cattedrale (1490, 8 giugno; ASMi, Autografi, 102, f. 34.), richiesta che viene temporalmente respinta perché sono «già alcuni dì ch'epso ingeniero ha principiato uno modello del dicto tiburio el quale desiderano molto sia finito inanti se mova de Milano tanto che la fantasia li serve bene» (1490, 10 giugno; ASMi, Comuni, 48). I Deputati assicurano, tuttavia, al duca, che il modello del tiburio per il Duomo sarà finito entro otto giorni e allora Francesco di Giorgio sarà libero di recarsi a Pavia, accompagnato da Leonardo da Vinci.
Il 27 giugno 1490 (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 228r; Annali, III, 1880, p. 60) ha luogo una famosa riunione nella sala d'udienza di Ludovico Maria Sforza all’interno del Castello di Milano, alla quale partecipano l'Arcivescovo di Milano, il Vicario arcivescovile e i Deputati della Fabbrica del Duomo: analizzati quattro diversi modelli per il tiburio – uno di Francesco di Giorgio, uno di Giovanni Antonio Amadeo e Giovanni Giacomo Dolcebuono, il terzo di Simone Sirtori e il quarto di Giovanni Battagio – e dopo molte discussioni, si delibera che Giovanni Antonio Amadeo e Giovanni Giacomo Dolcebuono elaborino un altro modello con la partecipazione di Francesco di Giorgio e si affida l'esecuzione della delibera ad Ambrogio Ferrari.
Il 4 luglio il Capitolo permette all'architetto di ritornare a Siena, ricompensando la sua opera con 100 fiorini del Reno, un abito di seta per lui e uno per il suo aiutante – entrambi di foggia milanese – oltre alle spese per il vitto fino al compimento del loro ritorno (1490, 4 luglio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 229; Annali, III, 1880, p. 64).
Tra le spese registrate nel Liber mandatorum vengono, infatti, registrati i mandati di pagamento a favore di Filippo Rainaldi per un velluto nero piano e «zetonino cremisi», venduti alla Fabbrica per Francesco di Giorgio; a favore di Vanono da Bresso per un paio di scarpe con la divisa sforzesca venduti alla Fabbrica per l’aiutante di Francesco di Giorgio e a favore di «Magistro Francisco de Georgiis de Senis, inzignario dominationis Senarum, ultra donata ipsi magistro et eius famulo florenos 100 Reni; in summa L. 345 et haec omnia pro eius remuneratione» (1490, 31 luglio; AVFDMi, Liber mandatorum, 673, ff. 33-34; Annali, III, 1880. p. 65).
Giovanni Mayer, figlio di Andreas Mayer, «magistro a lignamine», è documentato nell’équipe di Giovanni da Nexemperger attiva nel cantiere del tiburio del Duomo di Milano nel 1485 (1485, 23 dicembre; AVFDMi, Registri, 664, f. 82v). Mayer stipula un contratto di collaborazione con Giovanni Giacomo Dolcebuono nell’ottobre 1488, nella speranza di vedersi assegnare il lavoro per la costruzione del tiburio (1488, 21 ottobre; AVFDMi, Registri, 669, f. 26v; ASMi, Notarile, 1949, Antonio Capitani).
Nel 1489 viene corrisposta a Mayer una paga per il suo modello ligneo del tiburio (1488, 30 ottobre; AVFDMi, Registri, 669, f. 56v; 1488, 29 dicembre; AVFDMi, Registri, 669, f. 70r; Annali, III, 1880, p. 44), e nell’aprile del 1490 egli offre alcuni suoi progetti architettonici direttamente alla Fabbrica, purché lo si nomini ingegnere (Annali, III, 1880, p. 1490).
La fine dei suoi rapporti con il Duomo è datata proprio all’aprile del 1489, quando i Deputati dichiarano che non intendono assumerlo per la costruzione del tiburio (1489, 11 aprile; AVFDMi, Registri, 672, ff. 18v-19r; ASMi, Notarile, 3108, Leoforte Santi; Annali, III, 1880, pp. 47-48; 1490, 26 aprile; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 223r).
Giovanni Mayer ha forse avuto rapporti con Leonardo da Vinci dal momento che al f. 97r del Manoscritto A del maestro fiorentino, databile al 1492 circa, si trova una lettera di raccomandazione per Mayer, sebbene essa non sia di mano dello stesso Leonardo (1490-1492; Paris, Institut de France, MS A, f. 97r [Codice Ashburnham 2038, f. 17r]).
Giuseppe Meda, pittore, architetto e ingegnere idraulico, è documentato nel 1559 quando vince un primo appalto per la pittura delle ante di uno degli organi del Duomo (Annali, IV, 1881, p. 32), concluse nel 1570 (Annali, IV, 1881, p. 104). Nel 1568 aveva chiesto 300 scudi al Capitolo per poter completare il lavoro (Annali, IV, 1881, p.74) e viene pagato per le suddette ante nel 1581 (Annali, IV, 1881, p. 183). Nel 1587 Meda aspira alla carica di architetto del Duomo, ma gli è preferito Martino Bassi (1587, 20 novembre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, XV, f. 48, Annali, IV, 1881, p. 232).
Carlo Giuseppe Merlo compare per la prima volta tra gli architetti convocati per la facciata del Duomo il 21 agosto 1733 in una riunione a cui però non partecipa perché assente da Milano. Il 27 febbraio 1734 si offre insieme a Francesco Croce di realizzare un progetto, a patto che il Capitolo presenti loro un ordine scritto (Annali, VI, 1885, p. 122). Negli anni successivi Merlo è documentato per stime relative alla scala pendente della guglia maggiore (1738, 19 settembre; Annali, VI, 1885, p. 131), per la Gran Guglia stessa con Bartolomeo Bolla (1750, 23 febbraio; Annali, VI, 1885, p. 154) e ancora nel 1759, quando presenta una relazione (1759, 17 luglio). Il Capitolo del 14 febbraio del 1746 registra che già dall’ottobre del 1745, su richiesta del cardinale Pozzobonelli, il progetto di Vanvitelli era stato affidato a Merlo per averne un parere da inviare poi a Roma, ma, tardando la risposta, si ordina all’architetto di consegnare la sua relazione sul progetto entro la prima settimana di Quaresima. Il 30 aprile Merlo risponde di non aver ancora pronto il documento (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 60, ff. 83v-84r; Annali, VI, 1885, p. 147); la vicenda prosegue fino al 1751, quando, in concomitanza con la polemica tra Croce e Vanvitelli, nella riunione dell’8 febbraio il Capitolo lamenta nuovamente le inadempienze dell’architetto (AVFDMi, Archivio Storico, 147, 9), il quale dichiara il 15 giugno di aver realizzato un nuovo progetto «con non poca spesa e fatica», ma di non volerlo consegnare senza l’assicurazione della sua esecuzione (AVFDMi, Archivio Storico, 433, 10). Nel dicembre del 1754 Merlo è chiamato a far parte della commissione, con Francesco Croce, per esaminare il progetto di facciata di Paolo Groppi (Annali, VI, 1885, p. 166).
Jean Mignot [Mignoti de Parisius, Giovanni Mignoto], partito da Parigi il 14 luglio 1399 insieme a un gruppo di architetti francesi fra cui Jacques Coene e i suoi allievi, giunge a Milano il 7 agosto 1399 e gli è corrisposto dalla Fabbrica il convenuto salario di 20 fiorini al mese (Annali, I, 1877, pp. 197-198).
Il 19 ottobre 1399 i deputati convocano per il giorno successivo «Marchus de Carona, Jacomelus de Veneziis, Johannes Mignotus, Antonius de Paderno et Salamon de Grassis inzignerii fabrice» perché sia definito il progetto della sacrestia meridionale: «circha finem operis sacrastie nunc fiende et cernendo inter eos» (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 232v [Cassette Ratti, 25]).
Già il 14 dicembre 1399 Jean Mignot muove critiche al cantiere, sollevando dubbi sul pericolo di rovina delle strutture realizzate e viene perciò invitato a consegnare le sue considerazioni per mezzo di una relazione scritta, da discutere in Capitolo con lo scopo di prendere adeguati provvedimenti (Annali, I, 1877, pp. 199-200).
Nell’ambito di un consulto generale, l’11 gennaio 1400, l’architetto francese presenta al Capitolo della Fabbrica e agli ingegneri in carica cinquantaquattro dubbi sul progetto e sulla costruzione in corso. La risposta degli architetti, guidati probabilmente da Marco da Carona, è riportata tra le Ordinazioni capitolari (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 237; Annali, I, 1877, pp. 202-208). Pochi giorni dopo, il 24 gennaio, Mignot muove una nuova serie di critiche, organizzate in tre «capituli»: la prima e più importante è quella relativa alle dimensioni dei contrafforti, alla quale gli ingegneri milanesi replicano che i materiali lombardi sono più resistenti di quelli usati in Francia e che contrafforti più grandi avrebbero invece diminuito l’illuminazione interna. La seconda critica è relativa alle dimensioni dei quattro piloni e delle fondazioni corrispondenti sotto al tiburio. Inoltre, Mignot suggerisce che quattro, sei o dodici ingegneri del Nord siano consultati prima di procedere con la costruzione, che il duca sia informato dei pericoli di un possibile crollo e che i lavori siano interrotti fino a un ulteriore chiarimento (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 238 [Cassette Ratti, 26]; Annali, I, 1877, p. 209). Ritroviamo ancora Mignot l’11 luglio 1400, quando i deputati ordinano che egli si coordini con il maestro Marco da Carona rispetto al disegno di una scala a chiocciola (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 246v [Cassette Ratti, 26]; Annali, I, 1877, p. 215); il 10 aprile 1401, tra gli esperti eletti per giudicare i modelli per gli stangoni in ferro (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 261v [Cassette Ratti, 26]); e il 1 maggio 1401, con Marco da Carona e Antonio da Paderno, per i disegni delle volte e altri elementi dell’edificio, in presenza dell’arcivescovo.
Proprio riguardo alle volte si consuma un ennesimo e lungo dibattito, che porta all’intromissione del duca per sanare le controversie e assicurarsi «che ogni cosa proceda con ordine» (Annali, I, 1877, pp. 230, 232). Il 15 ottobre dello stesso anno Mignot è addirittura denunciato come responsabile di alcuni danni alla Fabbrica e gli viene richiesto un formale risarcimento, insieme alla concessione di un termine entro cui presentare la sua difesa (Annali, I, 1877, p. 236).
Segue, infine, il suo licenziamento il 22 ottobre 1401 (Annali, I, 1877, p. 237). Il 20 dicembre dello stesso anno alcuni sostenitori di Mignot si appellano nuovamente al duca (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, ff. 297r-297v [Cassette Ratti, 27]; «Heu dollor exhimius! Qua immensa falsitas immenseque mallignitates ac iniquitas reproborum talliter veritati inimicantur»). La lettera in favore del francese contiene una serie di dubbi rispetto alle abilità degli ingegneri lombardi e all’onestà sia degli ingegneri che degli ufficiali della Fabbrica, ma l’appello non ottiene alcun risultato.
Bartolomeo da Modena è nominato ingegnere e coordinatore dei lavori di estrazione del marmo a Candoglia l’11 novembre 1412, con un salario mensile di 10 lire (Annali, II, 1877, p. 4). Il primo maggio 1416 presenta una richiesta di aumento di stipendio pari alla somma complessiva che ricevevano i maestri Gaspare da Carona e Bartolomeo da Colonia, che gli viene accordata (Annali, II, 1877, p. 19). Egli è, inoltre, riconfermato in ruolo il 9 maggio 1420, essendo d’altronde l’unico candidato per la posizione di «ingegnere di montagna», con un salario mensile di 8 fiorini montani (Annali, II, 1877, p. 34).
Giacomo Filippo Monte è documentato tra i candidati alla carica di architetto della Fabbrica nel 1629, dopo la morte di Fabio Mangone (AVFDMi, Archivio storico, 2, 7).
Antonio da Muggiò [Mugloe] è convocato il 7 febbraio 1415 in occasione della delibera sul soggetto della chiave di volta della crociera dell’abside, scultura affidata a Jacopo da Tradate: «[…] e cioè se debba scolpirvi l’immagine di Dio Padre, o la immagine incoronata della madre di Dio vergine Maria, oppure quell’altra immagine, che si reputasse più conveniente per ornamento e decoro della chiesa» (Annali, II, 1877, p. 16).
Hans [Johannes, Johan, Giovanni] Nexemperger [Niesenberger] da Graz è assunto il 14 maggio 1483 (Annali, III, 1880, p. 16) dopo la minaccia di un possibile crollo del tiburio costruito da Guiniforte Solari. È opportuno precisare come dalla morte di quest’ultimo, nel 1481, per circa nove anni, la Fabbrica non avesse assunto nessuno per sostituirlo, sino al primo luglio 1490, quando sono nominati ingegneri della Fabbrica Giovanni Antonio Amadeo e Giovanni Giacomo Dolcebuono. Molte responsabilità dell’ingegnere, durante questo periodo, sono variamente affidate ai falegnami o agli scultori come Lazzaro Palazzi; in questo quadro va dunque collocata l’assunzione, o meglio la «convenzione», con Hans Nexemberger da Graz, che prevedeva la possibilità che egli si assentasse per due mesi e mezzo ogni anno per recarsi in Germania (Annali, III, 1880, p.17). Il 14 giugno 1481 il Capitolo delibera, infatti, di inviare un deputato a Strasburgo alla ricerca di un ingegnere in grado di risolvere il problema del tiburio. Lo stesso duca Gian Galeazzo Maria Sforza scrive prima ai governatori della città (27 giugno 1481) e successivamente a Pietro Scotto (19 aprile 1482), prefetto alla fabbrica della cattedrale di Strasburgo, allegando alla lettera un «modello». Nello stesso aprile la Fabbrica paga alcune spese a Lorenzo da Strasburgo per aver condotto a Milano un ingegnere (Annali, III, 1880, p. 14). La scelta di affidarsi a un maestro non milanese non è però accettata da tutti, tanto che il 14 maggio 1483 Ludovico Maria Sforza chiede di rivedere la nomina perché da molti il maestro tedesco è giudicato «non ben provisto al bisogno di tanta opera», e suggerisce di nominare al suo posto Giovanni Battagio. Ciò nonostante, il 16 maggio 1483 la Fabbrica stipula un contratto con il maestro «Johannem de Gracz de Alamania […] circha reparationem et perfectionem thiburii» (ASMi, Notarile, 1558, Bertola Pecchi; AVFDMi, Registri, 878, ff. 36v-37v; Annali, III, 1880, pp. 16-18). Dei lavori realizzati da Hans da Graz, dal di lui figlio Hans, sotto ingegnere, e da Alessandro da Marpach «teutonico subtusingenerio» sappiamo molto poco, sebbene siano documentati da una lunga serie di pagamenti sino al dicembre 1486, quando, nonostante le reciproche accuse tra i maestri (dodici secondo il contratto), i consoli di Lucerna e i deputati sul mancato rispetto degli accordi. Le vicende successive sono note e vedono coinvolti Luca Fancelli, il frate domenicano Hans Mayer da Graz (autore di un modello perfezionato da Dolcebuono nel 1488), Antonio da Sirtori, Bramante, Leonardo, Francesco di Giorgio Martini, Amadeo e lo stesso Dolcebuono.
Bernhardt Nonnenmacher è stato proposto come autore di una planimetria parziale del Duomo conservata nel Musée de l’OEuvre de Nôtre-Dame a Strasburgo. La paternità di tale disegno, che sembra essere databile agli anni Venti del Cinquecento, è stata ipotizzata sulla base del confronto con altri fogli dotati della medesima filigrana, utilizzata appunto a Strasburgo in quegli anni. Genero di Hans Hammer, attivo nel 1520 a Strasburgo, probabilmente Nonnenmacher copia parzialmente un disegno degli anni Ottanta del Quattrocento relativo alle vicende del tiburio quando, dopo la minaccia di un possibile crollo di quello costruito da Guiniforte Solari, il Capitolo della Fabbrica del Duomo aveva deliberato di inviare un deputato a Strasburgo alla ricerca di un ingegnere in grado di risolvere il problema (1481, 14 giugno; Annali, III, 1880, pp. 6-7). Lo stesso duca Gian Galeazzo Maria Sforza aveva scritto prima ai governatori di quella città (1481, 27 giugno) e successivamente a Pietro Scotto (1482, 19 aprile; Annali, III, 1880, p. 14), prefetto alla fabbrica della cattedrale di Strasburgo, allegando alla lettera un «modello».
Bertolino [Bartolomeo] da Novara è incaricato dal duca di Milano di verificare «certe openione e differentie mose per alcuni maestri», e l’8 maggio 1400 sottoscrive con Bernardo da Venezia una relazione in cui propone, per una maggiore solidità strutturale dell’edificio, di trasformare le navate laterali in cappelle e di realizzare una nuova cappella alle spalle dell’abside (Annali, I, 1877, p. 213). Le proposte contenute nella relazione di Bernardo e Bertolino, insieme a quelle espresse da Jean Mignot, sono poi affrontate in due successive riunioni nel 1401: il 10 aprile (Annali, I, 1877, p. 229) e il 10 luglio, quando è discussa proprio la questione relativa alla «capelle que asseritur construi debere post cullatam ecclesie» (Annali, I, 1877, pp. 230-231).
Muzio Oddi, architetto e matematico urbinate, esule a Milano, nel 1613 è incaricato dalla Fabbrica dell’insegnamento della matematica per i giovani lapicidi nella scuola di Camposanto (Annali, V, 1883, p. 82). Contemporaneamente alle lezioni presso la Fabbrica, Oddi ottiene la cattedra di matematica alle Scuole Palatine ricoprendola ininterrottamente sino al 1625, quando lascia Milano. Oddi è ricordato nelle relazioni Dibattiti, XI, 2 e XI, 18, ma nessun mandato di pagamento conferma l’ipotesi che Oddi sia l’autore di un progetto per la facciata. Il 20 marzo 1625 i Provinciali della Cassina invitano l’arcivescovo di Milano e Lorenzo Binago, Muzio Oddi, Giovanni Battista Cerano, Francesco Richino, Tolomeo Rinaldi, Giovanni Battista Pessina, in qualità di esperti di architettura, per discutere sul problema delle colonne della facciata (AVFDMi, Archivio Storico, 422, 2). Un suo intervento progettuale è dunque solo un’ipotesi suggerita da alcuni passi dei Dibattiti, che potrebbero riferirsi al contributo di Oddi come matematico offerto per risolvere i problemi connessi al taglio delle pietre necessarie per realizzare le colonne del progetto di Tibaldi. Non è infatti da escludere un coinvolgimento nella redazione del De Tractione Colossicarum columnarum (BAMi, cod. P 163 sup.) nel cui frontespizio è apposta la nota «servirà per il libro degli Efemeridi, ovvero per il libro de pluribus mathematicis».
Filippo [Filippino] degli Organi da Modena, figlio di Andrea, è documentato in più occasioni al servizio della Fabbrica dopo l’assunzione avvenuta il 3 gennaio 1400 con un salario mensile di 6 fiorini (Annali, I, 1877, p. 244). Il 5 marzo 1402 il Capitolo è riunito per scegliere il disegno definitivo per «lo straforo della finestra di mezzo della tribuna da lavorarsi in forma di raggi» e i deputati approvano quello di Filippo da Modena con dodici anziché undici code o branche (Annali, I, 1877, p. 245). Il 3 ottobre 1406 Filippo degli Organi disegna il monumento funebre di Marco Carelli in Camposanto (Annali, I, 1877, p. 278), mentre il 14 aprile 1409 è nominato ingegnere (Annali, I, 1877, p. 291). Nel 1404 (12 ottobre) il suo salario è aumentato a 8 fiorini per 12 anni (poi 10 fiorini dal 20 luglio 1410 e 20 dal 19 maggio 1417), ma il suo ruolo è subordinato a quello di Marco da Carona, primo ingegnere. L’importanza dei disegni di Filippo degli Organi è attestata dalla delibera del Capitolo in data 20 maggio 1414: «super facto designamentorum factorum per inzignerios qui temporibus preteritis fuerunt fabrice de et pro laboreriis fiendis et factis qui penes certos magistros sive ingenierios esse debent et precipue pennes magistrum Filipinum de Mutina nunc ingenierium memorate fabrice provisum et deliberatum fuit quod omnia illa designamenta que sunt pennes predictum magistrum Filippum portentur et consignentur ad offitium dominorum deputatorum et negotiorum gestorum predicte fabrice de ipsis quod fiat per ordinem inventarium per prefatos dominos et deputatos» (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 497v [Cassette Ratti, 30]; Annali, II, 1877, p. 12). Nel 1417 Filippo si accorda economicamente con la Fabbrica dopo dodici anni di lavoro ottenendo uno stipendio mensile di 16 fiorini, una certa quantità di vino, un’abitazione e la promessa che il suo stipendio non venga decurtato qualora egli sia chiamato a servire il duca (1417, 19 maggio; Annali, II, 1877, p. 24). Ancora nel giugno del 1420 è incaricato con Antonio da Gorgonzola del disegno del pavimento nel coro degli ordinari (1420, 11 giugno; Annali, II, 1877, p. 35). L’ultima attestazione risale al 1448, quando gli è ordinato di mettere per iscritto l’elenco del serizzo, dei ferramenti e del legname necessari per costruire il tiburio e per la conca di Viarenna (1448, 21 gennaio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, II, f. 47). Il 6 aprile 1448 Filippo degli Organi è rimosso dal suo incarico, durante la Repubblica Ambrosiana, probabilmente per la sua dedizione ai Visconti, ma ufficialmente per aver servito male la Fabbrica e per la sua vita riprovevole, nonostante egli avesse lavorato come ingegnere della Fabbrica per 48 anni (1448, 6, 12, 13 aprile; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, II, f. 50). Filippino e suo figlio Giorgio muoiono entrambi nei primi mesi del 1452.
Giorgio degli Organi da Modena, figlio di Filippino. La sua nomina ad ingegnere della fabbrica è raccomandata dal duca di Milano con una lettera datata 7 novembre 1450 (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, II, f. 118), ma la richiesta non ha esito positivo dal momento che la Fabbrica conferma Francesco da Cannobio nel ruolo di ingegnere (1450, 16 ottobre; Annali, 1877, II, p. 140). Giorgio da Modena è poi assunto ufficialmente il 6 luglio 1451 con un salario mensile di 12 lire, che gli viene corrisposto retroattivamente dal mese di febbraio precedente (Annali, 1877, II, p. 142) in seguito a una nuova sollecitazione di Bianca Maria Visconti. Il duca e la duchessa raccomandano Giorgio probabilmente per i servizi resi da suo padre Filippino nei confronti di Filippo Maria Visconti. Filippino e suo figlio Giorgio muoiono entrambi nei primi mesi del 1452, poiché già il 21 giugno 1452 si propone la sostituzione di Giorgio con Giovanni Solari e il 7 luglio 1452 il duca ordina di nominare Filarete e Giovanni Solari ingegneri della Fabbrica.
Simone da Orsenigo è il primo ingegnere («generalem inzignerium et magistrum») documentato nella Fabbrica del Duomo e riceve la nomina o, più esattamente, la riconferma per le sue competenze acquisite («confirmetur et de novo eligatur») il 6 dicembre 1387 (Annali, I, 1877, p. 16). Egli è registrato come ingegnere forse per la prima volta il 19 marzo 1387 (AVFDMi, Registri, 2A, f. 6v) e già il 20 marzo deve rispondere alle accuse di Marco da Campione rispetto a un errore di misura nella larghezza del muro verso Compedo (Annali, I, 1877, p.19). Alla riunione partecipano anche Giacomo, Bonino e Zeno da Campione, Guarnerio da Sirtori e Ambrogio Pongione, tutti ingegneri. Simone da Orsenigo riceve uno stipendio di 14 lire e 8 soldi sino al mese di settembre 1395, ma all’inizio del 1396 il suo nome non appare più nei documenti.
Antonio da Paderno, già indicato come ingegnere nel 1399 (1399, 15 giugno; Annali, I, 1877, pp. 195-196) o «ingegnere e anche pittore in vetri» nel 1404 (Annali, I, 1877, p. 262), è nominato ufficialmente ingegnere l’11 dicembre 1405, con un salario di 8 fiorini al mese e alle dipendenze di Marco da Carona (Annali, I, 1877, p. 267). Paderno compare nel novero degli ingegneri che nel maggio 1401 sono chiamati a fornire pareri in forma scritta in seguito alle critiche di Jean Mignot: i documenti che lo riguardano sono del 10 aprile (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 261v (Cassette Ratti, 26), del 15 maggio (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, ff. 264v-270v (Cassette Ratti, 26) e del 20 dicembre (Annali, I, 1877, pp. XVI-XVII). Nel 1403 gli vengono ordinati disegni della sezione trasversale del Duomo e di «fenestre unius pro sacrastia ipsius ecclesie et aliis etiam designamentis per eum fiendis» (AVFDMi, Registri, 71, f. 160), per i quali si registra anche un pagamento per l’acquisto della carta il 19 luglio (Annali, Appendice, I, 1883, p. 265). Forse per un errore di trascrizione del nome da parte del tesoriere nel giugno del 1402 e nel luglio dell’anno successivo a un «Antonio de Pandino inziniero fabrice» (intendendosi, invece, Antonio da Paderno) sono rimborsate le spese sostenute per acquistare sei grandi fogli di pergamena per disegnare i progetti delle finestre e altro («pro traversu ecclesie») (AVFDMi, Registro, 66, f. 149; AVFDMi, Registro, 70, f. 68).
Giovanni Battista Paggi presenta senza successo la domanda per succedere a Gerolamo Quadrio nella carica di architetto della Fabbrica (1679, 16 giugno; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 12).
Lazzaro Palazzi [Lazarus de Pallatio, de Reclausis], cognato di Giovanni Antonio Amadeo, avendone sposato nel 1467 la sorella Caterina, è documentato una prima volta il 21 giugno 1464, quando in compagnia del padre Antonio partecipa a una riunione della scuola dei Santi Quattro Coronati, confraternita che raccoglieva i maestri lapicidi, intagliatori e scultori impegnati all’interno del cantiere del Duomo di Milano (ASMi, Notarile, 615). Il 18 ottobre 1465 la Fabbrica (per l’attività in Duomo in generale cfr. Annali, II, 1877, pp. 281, 292, 293, 298, 299, 305, 312; Annali, III, 1880, pp. 6, 15, 25, 34, 97), al prezzo stabilito dall’ingegnere Guiniforte Solari, paga i soci Lazzaro Palazzi e Simone Grassi per alcuni lavori di intaglio ligneo realizzati per la cassa del nuovo organo: «Item Lazaro de Reclausis et Simoni de Grassis ambobus lapicidis et sociis pro eorum solutione et mercede intaliandi in lignamine pobie brachios 15 3/4 frisi capelli capse organi in quo friso intaliata sunt ova, foliamina et frize ad computum s. 18 pro singulo brachio, merchato facto per magistrum Guinifortum de Solario ingeniarium fabrice […] L. 14, s. 3, d. 6» (AVFDMi, Registri, 254, f. 178). Il dato archivistico ci rivela la capacità di Palazzi anche nell’arte dell’intaglio ligneo, oltre alla conoscenza di un lessico aggiornato testimoniato dagli elementi di una cornice all’antica, forse disegnata da Cristoforo de Mottis secondo il documento del primo agosto 1465. Il 10 dicembre 1466 Palazzi acquista una pietra di serizzo dal Duomo proveniente dalla demolizione di Santa Tecla (AVFDMi, Registri, 254, f. 250) ed è nuovamente documentato nel 1467, ma da questa data sino al 6 dicembre 1473, quando restituisce alla Fabbrica una somma già ricevuta da Guiniforte Solari per conto della Camera ducale, ma che dobbiamo riferire ai lavori per la «maestà di San Celso» (AVFDMi, Registri, 267, f. 108v; Annali, II, 1877, p. 281), non abbiamo alcuna altra prova della sua presenza in questo cantiere.
Nel 1475 Palazzi e Amadeo sono i protagonisti dell’impresa dell’altare di San Giuseppe commissionato da Galeazzo Maria Sforza per il Duomo milanese. Nel 1477, i deputati pagano ad Amadeo delle statue di marmo da lui scolpite, in particolare un tondo con santa Elisabetta e altri lavori eseguiti insieme a Palazzi, attestando così una stretta collaborazione tra i due, sancita, come abbiamo visto, anche da vincoli familiari: «Item pro eius solutione manufacture seu sculpture figurarum quatuor computata figura una sancte Helisabeth in tondo una cum certis figuris nec non pedibus quatuor pediscale ac etiam pillastrorum sex laboratorum diversis manieribus et etiam quadretorum duorum marmoris Carrarie factorum per ipsum et Lazarum de Pallatio, descriptorum in lista una annotata per Johannem Angelum de Castiliono cancellarium prefate fabrice» (AVFDMi, Registri, 263, f. 65). L’anno successivo Palazzi figura tra i maestri che stimano una statua di san Maiolo realizzata da Martino Benzoni (Annali, II, 1877, p. 299). Dagli anni Ottanta, quando diventa priore della Scuola dei Santi Quattro Coronati (ASMi, Notarile, 2059), Palazzi è ampiamente documentato nel cantiere del Duomo, fino a ricoprire dal 1481 anche il ruolo di ingegnere, non avendo il Capitolo proceduto a nominare un successore di Guiniforte Solari nonostante le richieste del duca (1481, 5 aprile; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 3, f. 179; Annali, III, 1880, p. 6). Tale soluzione, dovuta probabilmente all’opposizione di Giovanni Giacomo Dolcebuono e di Giangiacomo Del Maino alla nomina di Pietro Antonio Solari, figlio di Guiniforte, permetteva di mantenere comunque la responsabilità della Fabbrica all’interno della sfera di influenza della famiglia Solari. Già dal 5 maggio 1481 le questioni più tecniche relative alla conduzione del cantiere e alla gestione delle proprietà sono infatti affidate a Palazzi, che conserva anche le cariche di architetto del Comune e della Camera, di priore della Scuola dei santi Quattro Coronati e che è anche uno degli scultori più importanti della fabbrica e dunque una figura di fiducia per i numerosi maestri del cantiere. Palazzi ricopre questo ruolo in un momento di evidente difficoltà dovuta alla decisione di demolire il tiburio realizzato da Guiniforte Solari e di affidare la sua ricostruzione ad alcuni maestri chiamati da Strasburgo. Infatti, un pagamento del 20 settembre 1484 attesta un viaggio a Candoglia con Alessandro Marpach, il viceingegnere di Nexempberger «in servitiis fabrice» (1484, 20 settembre; AVFDMi, Registri, 661, f. 39). Palazzi ricopre poi occasionalmente la carica di ingegnere in alcuni lavori come i periodici sopralluoghi alle cave di Candoglia (1481, 5 aprile; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 179; Annali, III, 1880, p. 6).
Antonio da Pallanza, carpentiere della Fabbrica, compare tra gli ingegneri salariati sino al 1403, quando alla sua morte è nominato «ingegnere a legname» Giovanni Giorgio da Borsano (1403, 27 giugno; AVFDMi, Registri, 855, f. 60).
Antonio da Pandino è ricordato soprattutto per le realizzazioni di vetrate all’interno del Duomo, ma mai per esperienze architettoniche. Sorprendentemente però, nel 1488, viene pagato dalla Fabbrica 12 lire per il rilevamento degli errori che si ritengono commessi da Hans Nexemperger di Graz nel tiburio: «magistro Antonio de Pandino pro eius remuneratione laborum per eum supportatorum anno proxime preterito pro visitatione errorum, ut dicitur, commissorum per magistrum Johannem de Gracz inginiarium theutonicum libras duodecim imperialium» (1488, 26 gennaio; AVFDMi, Registri, 669, f. 4v; Annali, III, 1880, p. 41). Nel testo della Opinio redatta da Bramante è discusso il progetto per il tiburio presentato da Antonio da Pandino con Giovanni da Molteno. L’anno successivo Antonio da Pandino viene invece allontanato da tutti i luoghi della Fabbrica, pena il carcere, per aver insultato i deputati: «[…] ordinatum est quod decetero magister Antonius de Pandino non audeat ingredi non solum cameram congregationis, nec etiam in Campum Sanctum; et quotienscumque repertus fuerit, detineretur in carceribus, et ab eis non relassetur sine nostra licentia. Et hoc propter insolentias et iniurias contra prefatos dominos deputatos illatas, etc.» (1489, 13 luglio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 201v; Annali, III, 1880, p. 49).
Antonio Panfilo presenta la domanda per succedere ad Andrea Biffi nella carica di architetto della Fabbrica (1686, 3 agosto; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 14).
Heinrich Parler da Gmund [Enrico da Gamodia, Gamondia] giunge a Milano dalla Germania l’ultima settimana di ottobre del 1391 e viene nominato maestro l’11 novembre dai deputati della Fabbrica: «attendat et cottidie laboret in designando et laborando in operibus fabrice ecclesie Mediolani» per i successivi tre mesi e che sia retribuito con uno stipendio di 15 fiorini al mese, una abitazione e «plaustro uno lignorum» (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 35v [Cassette Ratti, 21]; Annali, I, 1877, pp. 66-67). Nel febbraio 1392 Heinrich Parler presenta il suo modello ligneo per i capitelli, anche se non ci sono informazioni rispetto alla forma da lui proposta (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 38r; Annali, I, 1877, p. 64). Il successivo maggio, dunque oltre il periodo dei tre mesi, egli partecipa alla riunione (1392, 1° maggio; AVFDMi, Ordinazioni Capitolari, I, ff. 43r-43v [Cassette Ratti, 21]) nella quale sono affrontati collegialmente una serie di dubbi sul progetto definitivo del Duomo. Alla riunione partecipano tutti i maestri: Giovanni da Ferrara, Zanello da Binasco, Stefano Magatti, Bernardo da Venezia, Giovannino de Grassi, Giacomo da Campione, Simone da Orsenigo, Pietro da Villa, Lorenzo degli Spazii, Guarnerio da Sirtori, Ambrogio da Melzo, Pietro da Cremona, Paolo degli Osnago. La delibera riporta esplicitamente l’annotazione che l’unico maestro a non sottoscrivere la dichiarazione è «magistro Henricho, qui, quamvis responsiones ipsae suae sint datae ad intelligendum, ipsis declarationibus nullatenus consensit» (AVFDMi, Ordinazioni Capitolari, I, f. 43v [Cassette Ratti, 21]); non sappiamo a quante delle caratteristiche dell’edificio elencate nel dibattito Heinrich si dimostri contrario, se a tutte o solo ad alcune. Nel celebre dibattito del 1401 promosso da Jean Mignot, Guidolo della Croce afferma «che il detto Mignoto è un vero maestro di geometria, giacché trovo che i suoi progetti sono consimili a quelli di quell’eccellentissimo maestro Enrico [Parler], che altre volte abbiamo avuto qui, come se ci fosse stato mandato da Dio, e che avremmo ancora se non lo avessimo espulso» (Annali, I, 1877, p. 224). Parler è pagato per altri cinque mesi di lavoro, dal 16 maggio 1392 al 12 dicembre 1392 (Annali, Appendice I, 1883, p. 229) e viene licenziato perché «male servierit» e «dedit magnum damnum et detrimentum ipsius fabricae pro suis malegestis» (1392, 7 luglio, AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 47v [Cassette Ratti, 21]; Annali, I, 1877, p. 71).
Giovanni Ambrogio Pessina è ingegnere collegiato nel biennio 1636-1637, e dal 4 maggio 1658 ingegnere camerale in seguito alla morte di Francesco Maria Richino. Nel 1665 è responsabile degli apparati funebri ideati per le esequie di Filippo IV (ASDMi, Potenze Sovrane post 1535, 8-9).
Giuseppe Antonio Pessina presenta con successo la domanda per succedere a Bartolomeo Bolla nella carica di architetto della Fabbrica dichiarando la sua disponibilità a lavorare gratuitamente fintanto che la carica sia ricoperta dallo stesso Bolla (1760, 25 aprile; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 20). Ingegnere della Fabbrica, mentre Francesco Croce è architetto, Pessina svolge soprattutto compiti relativi alle diverse proprietà della Fabbrica e agli aspetti amministrativi della piazza del Verziere sino al 1793 (AVFDMi, Archivio Storico, 3, 24); in particolare, il 13 gennaio 1776 sono registrati i pagamenti per i disegni di suddetta piazza (Annali, VI, 1885, p. 197).
Federico Pietrasanta presenta nel 1723 la domanda per succedere nel ruolo di architetto della Fabbrica al defunto Giovanni Battista Quadrio (1723, 27 febbraio; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 16). Presentano una analoga richiesta Francesco Cusani, Carlo Francesco Chiesa, Bernardo Maria Quarantini e Antonio Quadrio, figlio di Giovanni Battista.
Giovanni Pietro Pocobella, architetto romano, è documentato una sola volta, in riferimento al concorso per la facciata bandito dal Capitolo e affidato a Pirro Visconti Borromeo nel 1592, per il quale presenta un progetto pagato nel settembre del 1593 («Lectis litteris domini Iohannis Petri Pocobellae, scriptis ad illustrem dom. comitem Georgium Trivultium, occasione designi faciatae ecclesiae praedictae, ordinaverunt ut eidem architecto Romae erogentur scuta 25, arbitrio eiusdem illustris domini comitis Georgii»; Annali, IV, 1881, p. 281).
Leopoldo Pollack chiede di poter essere nominato architetto della Fabbrica il 2 agosto 1788, ma la sua domanda non è accettata. Vi concorre una seconda volta il 3 settembre 1795, in seguito alla richiesta di congedo da parte dell’architetto Giulio Galliori, ma gli è preferito Felice Soave (Annali, VI, 1885, p. 234). In ballottaggio con Giovanni Antolini, al suo terzo tentativo, assume la carica, che regge dal 18 maggio 1803 sino alla sua morte, avvenuta il 12 marzo 1806 (Annali, VI, 1885, p. 256). Prima della sua nomina ad architetto della Fabbrica il 21 agosto 1790 Pollack è pagato con Pietro Taglioretti «in ricognizione delle operazioni fatte pel disegno di facciata del Duomo» (Annali, VI, 1885, p. 221). Il 22 maggio 1805 il progetto di Pollack per la facciata viene rendicontato e quotato; verificatane la fattibilità esso viene consegnato al co-amministratore Giuseppe Dell’Acqua come progetto definitivo (Annali, VI, 1885, p. 259). Quest’ultimo è poi modificato e corretto nel 1807 dall’architetto Carlo Amati (Annali, VI, 1885, p. 264). Il 15 aprile 1806, un mese dopo la morte di Pollack, gli succede alla carica di architetto della Veneranda Fabbrica del Duomo, il figlio Giuseppe.
Antonio Quadrio presenta con successo la domanda per succedere nel ruolo di architetto della Fabbrica al padre Giovanni Battista (1723, 27 febbraio; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 16; Annali, VI, 1885, p. 100). Il 23 gennaio 1726 chiede che il suo salario sia uguale a quello percepito dal padre (circa 1200 lire annue dal 1692) ottenendo un primo aumento di 150 lire nello stesso anno (6 aprile; Annali, VI, 1885, p. 106), di 100 lire l’anno successivo (1727, 30 aprile; Annali, VI, 1885, p. 108), di altre 200 lire nel 1728. Nel 1723 redige con Francesco Croce e Marco Bianchi una memoria sulla facciata del Duomo; il 21 agosto 1733 partecipa con Francesco Croce, Marco Bianchi e Carlo Giuseppe Merlo alla seduta del Capitolo per deliberare il progetto esecutivo della facciata (Annali, VI, 1885, p. 121); nel 1735 compila una relazione sui danni arrecati dalla realizzazione degli apparati funebri eretti in Duomo per la regina di Sardegna (1735, 28 maggio; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 17), nel gennaio 1739 si interessa della commissione di apparati effimeri per le celebrazioni in onore del nuovo arcivescovo, il cardinale Pozzobonelli (Annali, VI, 1885, p. 132); nel 1740 si interessa della decorazione della cappella di Camposanto (Annali, VI, 1885, p. 134) e il 14 luglio 1742 presenta al Capitolo una serie di dettagliate motivazioni circa l’impossibilità di fronteggiare da solo gli impegni deliberati (AVFDMi, Archivio Storico, 3, 17). Il 22 dicembre dello stesso anno Quadrio chiede di poter essere sollevato dall’incarico di architetto, mantenendo un vitalizio (Annali, VI, 1885, p. 139). Muore all’inizio dell’anno successivo.
Gerolamo Quadrio è eletto architetto della Fabbrica il 3 ottobre 1658, superando altri due aspiranti: Francesco Croce e Bartolomeo Malatesta (AVFDMi, Archivio Storico, 3, 10; Annali, V, 1883, p. 267). Pochi giorni dopo la sua elezione è impegnato nei lavori di allestimento della struttura lignea per ospitare il sinodo del novembre del 1658 nel coro del Duomo (Annali, V, 1883, p. 267). Il 28 agosto 1659 il Capitolo approva il progetto di Quadrio per la risistemazione della pala d’altare per la cappella della Madonna dell’Albero (Annali, V, 1883, p. 270). Nel 1661 gli è riconosciuto un aumento di stipendio di 300 lire (Annali, V, 1883, p. 276), così come nel 1666 (Annali, V, 1883, p.288). Nel 1667 ottiene dal Capitolo il permesso di assentarsi dal cantiere per un viaggio a Roma (AVFDMi, Archivio Storico, 3, 11). Nel maggio del 1675 Gerolamo Quadrio si occupa della realizzazione dell’ultima campata della navata maggiore per raccordare il corpo basilicale alla superficie della nuova facciata del Duomo, con questo intervento si copre l’ultima porzione scoperta del corpo delle navate (Annali, V, 1883, pp. 309-311). Nel 1678, come architetto della fabbrica, promuove il restauro di alcune pale d’altare: in particolare quelle di Santa Tecla (di Aurelio Luini), di Santa Agnese (di Camillo Procaccini) e di Sant’Agata (di Odoardo Rizzo e Gianbattista Ansenga; Annali, V, 1883, p. 320). Nel giugno 1679 gli succede Andrea Biffi (Annali, V, 1883, p. 323).
Giovan Battista Quadrio, figlio di Gerolamo, presenta nel 1679 la domanda per succedere al padre nella carica di architetto della Fabbrica (1679, 16 giugno; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 12), viene tuttavia respinta. Nel 1686 presenta nuovamente la domanda per succedere ad Andrea Biffi (1686, 3 agosto; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 12; Annali, VI, 1885, p. 24) ed è esaminato favorevolmente dal Capitolo della Fabbrica. Nel settembre dello stesso anno chiede di poter avere a disposizione uno studio separato da quello dei praticanti: quest’ultimo viene così suddiviso da una tramezza realizzata in legno e vetro. Il 12 giugno 1687 Quadrio ottiene un aumento di stipendio di 150 lire annue e ancora il 10 febbraio 1689, il 21 giugno 1691, e il 21 agosto 1692 avanza nuove richieste di aumento (AVFDMi, Archivio Storico, 3, 12). Nel 1695 redige un progetto per la cappella dell’Annunziata in Camposanto (detta cappella di Camposanto): il disegno è presentato al Capitolo e approvato il 29 dicembre dello stesso anno (Annali, VI, 1885, p. 44). Nel 1701 Quadrio si dedica alla decorazione della cattedrale in onore dell’arrivo del nuovo arcivescovo, il cardinale Giuseppe Archinto (Annali, VI, 1885, p. 55). L’attività ordinaria di Quadrio è ampiamente documentata sino al 1723 da una serie di relazioni che attestano le opere di copertura e di pavimentazione e di completamento della struttura della cappella di San Giovanni Bono (Annali, VI, 1885, pp. 91-101), e anche una diversa proposta progettuale per la stessa cappella (AVFDMi, Archivio Storico, 136, 28A, 1-4).
Giuseppe Quadrio presenta la domanda per succedere ad Andrea Biffi il 3 agosto 1686 (AVFDMi, Archivio Storico, 3, 12).
Bernardo Maria Quarantini presenta la domanda per succedere nel ruolo di architetto della Fabbrica al defunto Giovanni Battista Quadrio nel 1723, dichiarando di aver lavorato presso di lui per tredici anni (1723, 24 febbraio; Annali, VI, 1885, p.100; 1723, 27 febbraio; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 16).
Girolamo Rainaldi, figlio di Adriano Rainaldi da Norcia e fratello di Giovanni Battista e Tolomeo, è attivo nella prima decade del XVII secolo presso la fabbrica del Duomo, per cui progetta una proposta di facciata presentata nel 1607 (BAMi, F. 251 inf., n. 91), a cui però il cardinale Federico Borromeo preferisce il progetto di Pellegrino Tibaldi (AFDMi, Archivio Storico, 135, 7). Nel 1642, dopo più di 30 anni dalla prima proposta durante i quali è attivo principalmente in area romana, Girolamo Rainaldi si interessa nuovamente dell’annosa questione della facciata del Duomo Milanese, presentando una seconda proposta di cui si conserva il disegno autografo in collezione privata (Russo, 2021).
Giovanni Battista Riccardi è l’autore nel 1746 di un progetto per la facciata del Duomo conservato presso l’Archivio della Fabbrica del Duomo: «Disegno fatto da Gio.Batta / Riccardi Archit.o in otobre 1746» (AVFDMi, Archivio disegni, 177). Egli è documentato nel 1739 per la sua attività di quadraturista («Alli signori Gaetano e Antonio fratelli Dardanoni, Francesco Bianchi e Gio. Battista Riccardi pittori l.750, per importo di tutte le pitture tanto di figura, quanto di architettura, da loro fatte per ornato alla facciata del Duomo, in occasione dell’ingresso di sua eminenza monsignor arcivescovo»; Annali, VI, 1885, p. 133), ma mai come architetto o ingegnere.
Francesco Maria Richino è ufficialmente assunto dal Duomo in due periodi temporalmente molto distanti: nel 1605 e negli anni 1631-1638. Al giovane Richino già nel 1603 sono pagati 12 scudi per alcuni disegni per la facciata, forse redatti in collaborazione con padre Lorenzo Binago (Raccolta Bianconi, II, ff. 30-31) e nel 1607 gli sono pagati ancora 18 scudi «pro modulis exemplatis faciei ecclesiae Maioris» (Annali, V, 1883, pp. 11, 44). Il 21 marzo 1605 il Capitolo della Fabbrica lo nomina capomastro, dopo un ballottaggio con Giovanni Battista Mangone («Exinde sumptis votis de pluribus personis petentibus admitti ad dictum officium inter quas aderant Iohannes Baptista Mangonus et Franciscus Richinus illi bis fuere pares in quantitatem votorum, sicque dictum fuit proiciendas esse sortes et factis duobus bullettinis cum eorum singulorum nomine et cognomine eisque positis in uno pilo dictum Richinum quem ideo eligunt in capum magistrum»; Annali, V, 1883, p. 28). Già nello stesso anno gli vengono mosse, così come al padre Bernardo, alcune accuse di aver falsificato alcuni atti; il 10 novembre il Capitolo chiede di indagare sull’operato di Richino e il 5 dicembre si decide per la sospensione dall’incarico (Repishti, 2003, p. 64).
Nonostante le accuse non fossero state provate, il 29 dicembre il Capitolo chiede che sia definitivamente licenziato (AVFDMi, Archivio Storico, 2, 4). Francesco Maria Richino è però sempre presente nel cantiere della cattedrale milanese; infatti, nel 1606 e nel 1607 presenta due progetti per lo per lo scurolo di Carlo Borromeo (AVFDMi, Mandati, 27), dal 1612 al 1614 si occupa del progetto e degli arredi per la cappella della Madonna dell’Albero (Annali, V, 1883, p. 80), e interviene sul problema della facciata in più occasioni: fa parte della commissione riunita il 20 marzo 1625 dai deputati alla Cassina con l’arcivescovo, Lorenzo Binago, Muzio Oddi, Giovanni Battista Cerano, Tolomeo Rinaldi e Giovanni Battista Pessina quali esperti di architettura per discutere il problema del trasporto delle colonne (AVFDMi, Archivio Storico, 422), e si dichiara pronto ad assolvere all’impresa nel 1626 e nel 1628, infine, nel 1629 presenta ai deputati del Capitolo il piano di trasporto delle colonne per la facciata da Baveno al cantiere del Duomo (Annali, V, 1883, pp. 149-151). Soltanto il 21 luglio del 1631, dopo la morte di Federico Borromeo, è nominato ingegnere della Fabbrica (Annali, V, 1883, p. 164), e a partire da questa data elabora nuove soluzioni per la facciata (ricordiamo in particolare la proposta presentata nel 1635 (AVFDMi, Archivio Disegni, 38)) fino all’inaspettato licenziamento avvenuto il 29 luglio 1638 (AVFDMi, Archivio Storico, 2, fasc. 4; la decisione è ribadita il 5 agosto; Annali, V, 1883, p. 186). Il suo breve mandato si rivela molto intenso: nel 1632 si occupa della commissione delle statue (angeli) per le nicchie nei capitelli dei pilastri maggiori, commissionati a Domenico Portinari (Annali, V, 1883, p. 164); nel 1634 delibera la demolizione del modello per la porta maggiore di Tibaldi per la facciata (Annali, V, 1883, p. 175); infine, in un memoriale del 1636, si ricorda come «Ricchino […] l’anno passato fece di novo li dissegni della facciata del Duomo, porta maggiore et finestre di essa in forma grande» (1635, 27 dicembre; AVFDMi, Archivio Storico, 2, fasc. 8). L’anno successivo Richino chiede un nuovo aumento di salario per i disegni «in forma grande» della facciata, della porta maggiore e delle finestre, pagati solo 25 scudi (1636, 18 dicembre; AVFDMi, Archivio Storico, 2, fasc. 8). Il motivo del licenziamento nel 1638 potrebbe essere l’accusa di aver sottratto dei disegni alla Fabbrica del Duomo, tra cui i propri. Il 26 febbraio del 1639 viene costretto dal Capitolo a restituire tutti i disegni in suo possesso (Annali, V, 1883, p.189). Nel 1646 il suo progetto di facciata è definitivamente accantonato, con quello di Pellegrino Tibaldi, a favore del progetto di Carlo Buzzi, suo sostituto (Annali, V, 1883, p. 214). Nel 1647 progetta per il Duomo gli apparati funebri per le esequie del principe Baldassarre di Borbone di Spagna (CRSMi, AS m 2-66; CRSMi, vol. U 120).
Giovanni Domenico Richino il 16 giugno 1679 presenta la domanda per succedere a Gerolamo Quadrio nella carica di architetto della Fabbrica (AVFDMi, Archivio Storico, 3, 12).
Rinaldi, Giovanni Leone, ingegnere camerale, figlio primogenito di Tolomeo (con il quale collabora in diversi lavori per le fortificazioni dello Stato e nelle campagne militari in Valtellina e Piemonte), nel 1621 è incaricato della preparazione dei progetti per gli apparati funebri in occasione delle esequie di Filippo III in Duomo.
Tolomeo Rinaldi (o Rainaldi), ingegnere Camerale e dell’Esercito, per il Duomo milanese nel 1561 lavora all’apparato decorativo della cappella della Madonna dell’Albero, in particolare suoi sono i candelabri «a forma d’albero con pietre incastonate» (Annali, IV, 1881, p. 46, nota 1); nel 1567 viene consultato dal Capitolo per un parere sul progetto di facciata di Pellegrino Tibaldi (Annali, IV, 1881, p. 67, nota 1); il 13 dicembre 1590 incide e fa stampare un suo disegno per la facciata, dedicando l’opera al prefetto della Fabbrica Prospero Visconti Borromeo («ILLUS[TRISSI]MO D[OMI]NO D[EPUTATO] PROSPERO VICECOMITI / BRAEMIDE DOMINO / ATQ[UE] FABRICAE SUMMI MEDIOL[ANENSI]S TEMPLI / PRAEFECTO / Ptholemeus Rinaldius Romanus Archit[ectu]s et Pictor Dicavit / Idemq[ue] Invenit Incisit et Excussit / Tertio Idus D[i]cembr[i]s Anno / MDXC»; BAMi, S. 148 sup. n. 12). Successivamente Rinaldi è impegnato nei lavori per l’altare della Beata Vergine del Rosario (1601, 17 aprile e 9 giugno; AVFDMi, Mandati, 18; Annali, V, 1883, p. 1) e si occupa della lunga vertenza relativa all’acquisizione delle aree di Palazzo Ducale necessarie al completamento dell’originario progetto del Duomo e della risistemazione della risultante piazza (1604-1616; AVFDMi, Archivio storico, 139, 7bis, su questo si conservano vari disegni in: ASCMi, Raccolta Bianconi, I, f. 1r). Tra il 1606 e il 1609 presenta altre due proposte di facciata basate sul progetto di Pellegrino Tibaldi (ASCMi, Raccolta Bianconi, II, f. 33vA-33vB).
Giuseppe Ripamonti Carcano presenta nel 1760, senza successo, la domanda per succedere a Bartolomeo Bolla nella carica di architetto della Fabbrica, dichiarando il suo alunnato presso Carlo Giuseppe Merlo (1760, 25 aprile; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 20).
Giovanni Sebastiano Robecco, architetto collegiato nel 1679, presenta la domanda per succedere a Gerolamo Quadrio nella carica di architetto della Fabbrica (1679, 16 giugno; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 12). Nella domanda ricorda gli studi compiuti a Roma e gli incarichi svolti in Duomo sino al 1679 quale sostituto di Quadrio.
Giuseppe Robecco, architetto collegiato di Milano dal 1652 (ASCMiBT, Materie, 556) fa richiesta di poter succedere alla carica di architetto della Fabbrica nel 1629, dopo la morte di Fabio Mangone (AVFDMi, Archivio storico, 2, 7bis).
Giovanni Battista Rossi, ingegnere collegiato, è eletto ingegnere della Fabbrica del Duomo a termine della seduta del Capitolo tenutasi il giorno 2 luglio 1793 e convocata a seguito della morte dell’ingegnere Giuseppe Pessina (Annali, VI, 1885, p. 229). Rossi è documentato ancora come ingegnere in alcuni lavori per la Fabbrica nell’agosto 1803 (1803, 11 agosto; AVFDMi, Archivio Storico, 3, 31).
Giovanni Ruggeri, architetto di formazione romana, opera prettamente in cantieri lombardi, pur non risultando mai iscritto al Collegio degli Ingegneri e Architetti di Milano. Progetta, poco tempo dopo il suo arrivo a Milano, gli apparati funebri realizzati nel 1696 in Duomo per le esequie di Maria Anna d’Austria, moglie di Filippo IV di Spagna. La documentazione archivistica (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 17) conferma la presenza di Ruggeri quale progettista e segnala che anche Cesare Fiori, Francesco Silva e Giuseppe Quadrio fornirono progetti per la cerimonia.
Luigi Sala non fu mai eletto architetto del Duomo, sebbene si conserva una sua richiesta, non datata ma riferibile al febbraio 1787, per essere assunto dalla Fabbrica come architetto dopo la richiesta di congedo di Giulio Galliori, suo zio materno (AVFDMi, Archivio Storico, 3, 30). Nel 1797 viene commissionata a Sala una relazione di revisione e fattibilità del progetto per la facciata di Giulio Galliori, lavoro che, secondo l’architetto Felice Soave, egli porta però a termine in modo deludente (Annali, VI, 1885, p. 240).
Nicola Salvi, architetto romano, è documentato in due diverse occasioni: una prima volta nel 1737 e una seconda nel 1744, poco prima della chiamata di Luigi Vanvitelli. Il 25 settembre 1737 il marchese Giuseppe Visconti viene incaricato, dalla Congregazione di Cassina, di scrivere a Salvi e di invitarlo a Milano, ma la missione non ha successo a causa dei numerosi impegni che trattenevano l’architetto a Roma (AVFDMi, Archivio Storico, 147; Annali, VI, 1885, p. 129). Salvi era effettivamente impegnato con il cantiere della Fontana di Trevi, per la quale aveva vinto il Concorso Clementino del 1732, e in una serie di altri importanti cantieri pontifici. Quando nel 1738 arriva da Roma la notizia dell’impossibilità dell’architetto di muoversi dalla città eterna, la Congregazione tenta di mandare una supplica al pontefice per mano del duca di Bracciano, tentativo che si rivela vano. Nonostante l’impossibilità di venire a Milano, a Salvi è richiesto un parere sul disegno presentato da Antonio Maria Vertemate Cotognola, particolarmente apprezzato (Annali, VI, 1885, p. 130). L’Archivio Diocesano di Milano (ASDMi, Sezione X, Metropolitana, vol 73, 20) conserva in copia un parere anonimo del progetto di Vertemate che potrebbe corrispondere a quello di Salvi e che reca un giudizio globalmente positivo, pur con l’aggiunta di alcune correzioni. Nel 1744, per uscire dall’impasse di una situazione logorata dai continui contrasti tra gli architetti milanesi – non ultimo quello tra Marco Bianchi, Antonio Quadrio, Carlo Giuseppe Merlo e Francesco Croce –, i deputati della Fabbrica del Duomo di Milano, su suggerimento del marchese Pio Pallavicino, che a sue spese si offre di ospitare l’architetto, interpellano nuovamente Salvi (Annali, VI, 1885, p. 143) e, dopo una riunione tenutasi il 19 gennaio 1745, si rivolgono a Luigi Vanvitelli anche su indicazione del cardinale Albani e con il parere favorevole dell’arcivescovo Giuseppe Pozzobonelli (AVFDMi, Archivio Storico, 431).
Petrolo Santambrogio viene convocato il 7 febbraio 1415 per deliberare il soggetto della chiave di volta della crociera dell’abside, scultura affidata a Jacopo da Tradate (Annali, II, 1877, p. 16).
Giuseppe Robecco, architetto collegiato di Milano dal 1652 (ASCMiBT, Materie, 556) fa richiesta di poter succedere alla carica di architetto della Fabbrica nel 1629, dopo la morte di Fabio Mangone (AVFDMi, Archivio storico, 2, 7bis).
Vincenzo Seregni, architetto del Duomo dal 1547 al 1567, nel 1537, presentandosi come «devotissimo al Tempio», propone un suo progetto per la facciata (Annali, III, 1880, p. 267). Nel 1547 è nominato architetto con uno stipendio di 18 lire mensili e con il compito di completare i lavori agli archi rampanti («acquedotti»), inoltre, gli è assegnato un locale in Camposanto precedentemente occupato da Cristoforo Solari (1547, 21 novembre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, X, ff. 138v-139 e f. 142; Annali, III, 1880, p. 301). Nel luglio del 1552 è ufficialmente affiancato a Cristoforo Lombardo come ingegnere responsabile della Cassina dei lapicidi (1552, 21 luglio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 11; Annali, IV, 1881, p. 10), e nel 1553 gli è corrisposto un aumento di stipendio che è equiparato a quello di Lombardo (24 lire mensili; Annali, IV, 1881, p. 12). Licenziato una prima volta nel 1562 per le sue negligenze (Annali, IV, 1881, p. 48; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, XII, f. 27), Seregni è definitivamente allontanato dalla Fabbrica il 3 luglio 1567 e sostituito con Pellegrino Tibaldi (Annali, IV, 1881, p. 67; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 12, ff. 247v-248r). È documentato un’ultima volta con Martino Bassi nel 1583 quando entrambi sono chiamati a esprimere un parere sulle volte dello scurolo realizzate su progetto di Tibaldi (Annali, IV, 1881, p. 195).
Carlo Francesco Silva svolge uno dei due incarichi di ingegnere camerale dal 18 giugno 1695 (dopo la morte di Giovanni Battista Paggi) e definitivamente dal 16 giugno 1701 dopo la morte di Giovanni Domenico Richino. Tra le altre opere svolte durante la sua attività di ingegnere vanno ricordati gli apparati per le esequie dell’imperatrice Eleonora Maddalena Teresa, madre di Carlo VI d’Asburgo, celebrate il 30 aprile 1720 nel Duomo (CRSMi, AS g 2-14; BAMi, S 147 sup., ff. 259-262).
Arasmino da Sirtori, già presente come ingegnere a una riunione del Capitolo del 12 luglio 1394 (Annali, I, 1877, p. 115), compare nel gennaio 1397 come «magistro a lignamine fabricae» (Annali, I, 1877, p. 172) ma viene poi nominato ingegnere con un salario giornaliero di 8 soldi il 12 ottobre 1399 (Annali, I, 1877, p. 198). Egli è documentato sino al 1403, anno in cui viene riconfermato ingegnere della Fabbrica insieme a Marco da Carona, Antonio da Paderno e Antonio da Gorgonzola (1403, 16 dicembre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 340r [Cassette Ratti, 28]).
Donato da Sirtori, figlio di Antonio, è documentato in diverse occasioni come ingegnere falegname tra il 1446 e il 1477 e tra i colleghi più importanti di Guiniforte Solari (AVFDMi, Registri, 622). Nel 1449 è pagato per aver ornato l’organo (AVFDMi, Registri, 590, f. 75), e nel 1450 per aver costruito una tribuna alla porta del Duomo per una solennità ducale (AVFDMi, Registri, 591, f. 17). Nel 1458 è annoverato il suo stipendio pari a 22 lire e 10 soldi (Annali, II, 1877, p. 187) e nel giugno 1465 e nel marzo 1474 è registrato ancora il suo salario in qualità di «ingeniarius fabricae a lignamine» pari a 11 lire mensili (Annali, II, 1877, pp. 242, 283). Nel 1468 è ricordato un «Antonio de Palantia famulo magistri Donati de Sirtori I, f. 1475 Donato da Sirtori è documentato per alcune stime di materiale ligneo (1475 giugno 3; AVFDMi, Registri, 267) e nel 1476.
Leonardo da Sirtori è documentato una prima volta nel 1404 accanto ad Arasmino da Sirtori come «magister a lignamine» (1404, 21 dicembre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 356). Nel 1406 è indicato come ingegnere in un atto relativo a corde per argani (1406, 5 luglio; AVFDMi, Registri, 85, f. 75r); viene ufficialmente assunto come ingegnere della Fabbrica l’11 dicembre 1407, con uno stipendio mensile di 8 fiorini (Annali, I, 1877, p. 284). Egli è documentato nei Registri della Fabbrica sino al 1433.
Simone da Sirtori compare tra le carte del Duomo in quattro occasioni, delle quali due in relazione alla ricostruzione del tiburio. La prima riguarda il suo ruolo «ad signandum lapides magistris et laboratoribus lapicidis», ruolo che presuppone una presenza giornaliera in Camposanto e che egli svolge per circa cinque mesi, dal 10 gennaio 1488 al 23 giugno dello stesso anno (Annali, III, 1880, p. 42). Bramante nella sua Opinio ricorda la soluzione presentata da un prete che possiamo identificare con il «presbiterum Simonem de Sirtori», indicato come l’autore di un modello del tiburio valutato durante la riunione del 27 giugno 1490 tenutasi al Castello di Milano nella sala d’udienza di Ludovico Maria Sforza. A tale riunione risultano presenti l’arcivescovo di Milano, il vicario arcivescovile e i deputati della Fabbrica del Duomo (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 228r; Annali, III, 1880, p. 60). Infine, il «presbitero Simone de Sirturi» è elencato tra i membri della commissione convocata nel 1503 per giudicare i modelli preparati per la nuova porta del transetto settentrionale (Annali, III, 1880, p. 124).
Francesco Sitoni, agrimensore, architetto e ingegnere, nel 1566 è chiamato in Spagna (Annali, IV, 1881, p. 22). Nel 1607 è chiamato, con Lorenzo Binago e Pietro Antonio Barca, a esprimere un parere sui diversi progetti presentati per la facciata del Duomo (Annali, V, 1883, p. 44).
Felice Soave, regio professore presso San Pietro in Gessate, presenta una prima domanda di assunzione come aiuto di Giulio Galliori l’11 dicembre 1785 e una successiva in data 25 gennaio 1787, offrendosi di prestare la sua opera gratuitamente (AVFDMi, Archivio Storico, 3, 25). Ancora il mese successivo, dopo la richiesta di congedo di Galliori, Soave ripresenta la stessa richiesta (1787, 16 febbraio; Annali, VI, 1885, p. 215). Il 21 giugno 1790 viene consultato insieme a Galliori su come proseguire i lavori della facciata, per i quali si stabilisce di iniziare dai pilastri verso la Regia Corte (Annali, VI, 1885, p. 221); nell’agosto dello stesso anno Soave è incaricato di dare un disegno per la facciata del Duomo che viene approvato dal Capitolo il 4 luglio 1791 (Annali, VI, 1885, p. 224). Il 3 settembre 1795 concorre alla carica di architetto della Fabbrica con Luigi Canonica, Pietro Piacenza, Leopoldo Pollack e Pietro Taglioretti, risultando eletto al ruolo il successivo 10 settembre (Annali, VI, 1885, p. 234). Il 29 aprile 1800 Soave ordina la rimozione dalla facciata della medaglia commissionata nel 1798 a Carlo Maria Giudici raffigurante Il sacrificio di Abele, ritenuta “inaccettabile” (Annali, VI, 1885, p. 250). Soave è licenziato il 17 settembre 1801, in favore di Giovanni Antonio Antolini (Annali, VI, 1885, p. 253), ma è reimmesso nel suo impiego per ordine governativo il 30 agosto 1802 sino alla morte, avvenuta nell’aprile del 1803 (AVFDMi, Archivio Storico, 3, 25; Annali, VI, 1885, p. 255).
Cristoforo Solari [detto il Gobbo], figlio di Bertola Solari, è assunto dalla Fabbrica del Duomo il 18 febbraio 1501 come scultore con un contratto con condizioni a lui molto favorevoli ed eccezionali per il cantiere, e con uno stipendio di 23 lire, 6 soldi e 8 denari al mese (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, IV, f. 324; Annali, III, 1880, p. 117). Nel maggio dello stesso anno realizza gli attributi sacri per la statua di Sant’Ambrogio (Pastorale, Crocifisso e flagello, tutti in bronzo) da collocarsi sul tiburio (Annali, III, 1880, p. 118). Nel 1503 Cristoforo elabora con Bartolomeo Briosco un suo modello per la porta del transetto settentrionale in opposizione a quello di Dolcebuono e Amadeo; la contrapposizione con Amadeo appare netta soprattutto quando a ogni partecipante al concorso è chiesta una relazione scritta sui difetti dei modelli degli altri concorrenti (1503, 23 febbraio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, IV, f. 340v e 1503, 3 luglio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, IV, f. 351v). Nel 1504 Solari ottiene la concessione di poter lavorare per Gian Giacomo Trivulzio (Annali, III, 1880, p. 129). Il 2 marzo 1506 il Capitolo lo nomina ingegnere della Fabbrica a condizione che non abbandoni la sua attività di scultore e ordina ad Amadeo di accettarlo come collega (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, V, f. 16v; Annali, III, 1880, p. 135); tuttavia lo scontro tra i due si manifesta di nuovo apertamente in occasione della presentazione da parte di Amadeo del progetto della prima tra le quattro guglie contenenti le scale di accesso al tiburio (1508, 17 gennaio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, V, f. 147v; Annali, III, 1880, p. 141). Dopo questa discussione, dal mese di ottobre 1508 Cristoforo lascia la Fabbrica, nel 1510 partecipa a una riunione per discutere l’argomento degli stalli di coro con Leonardo da Vinci, Giovanni Antonio Amadeo e Andrea Fusina (1510, 21 ottobre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, V, f. 246r) dopo la quale non è più documentato sino al novembre 1514, quando ritorna dal viaggio a Roma (1514, 11 dicembre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, VI, f. 154; Annali, III, 1880, p. 169). Nei salari successivi al 1514 è sempre indicato come scultore, sebbene in ruolo tra gli ingegneri; in occasione della decisione presa di costruire un nuovo modello ligneo della cattedrale, il 7 novembre 1519 è nuovamente nominato ingegnere della Fabbrica con uno stipendio di 24 lire mensili (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, VII, f. 18; Annali, III, 1880, p. 210).
Giovanni Solari, figlio di Marco Solari, nel 1450 è inviato dalla Fabbrica come ambasciatore davanti al duca per chiedere la cessione e demolizione di una parte della corte dell’Arengo che sarebbe stata necessaria al completamento delle navate del Duomo verso ovest e della facciata (1450, 24 agosto; Annali, Appendice 2, p. 73), lavori che segue poi come ingegnere ducale. Nel mese successivo presenta la sua candidatura come ingegnere della Fabbrica, che però non è accolta (1450, 20 settembre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, II, f. 108v.; Annali, II, 1877, p. 140), ma è comunque presente a una riunione del Capitolo nell’ottobre dello stesso anno (1450, 11 ottobre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, II, f. 109v.; Annali, II, 1877, p. 141). Nel 1451 riceve uno stipendio dalla Fabbrica per la realizzazione del passaggio tra il Duomo e il Palazzo Ducale (Annali, II, 1877, p. 142), ma è nominato ingegnere solo nel 1452 (1452, 24 giugno; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, II, f. 157; Annali, II, 1877, p. 145) dopo che il duca sollecita i deputati a nominare ingegneri Giovanni Solari e Filarete al posto di Filippino degli Organi, morto con il figlio Giorgio nei primi mesi del 1452 (ASMi, Registri Ducali, 190, pp. 152-153; Annali, II, 1877, p. 146). Solari si presenta come il candidato più probabile alla successione anche se il duca ribadisce che entrambi devono succedere a Filippino da Modena (1452, 7 luglio; ASMi, Registri Ducali, 190, f. 191v). Giovanni riceve un salario di 12 lire mensili sino al 31 marzo 1459, quando è affiancato dal figlio Guiniforte (Annali, II, 1877, p. 190).
Guiniforte [Boniforte, Chunifortus] Solari, figlio di Giovanni Solari, dal 22 marzo 1459 ricopre con il padre il ruolo di ingegnere della Fabbrica, che mantiene sino alla morte (Annali, II, 1877, p. 190). Nel cantiere milanese, la collaborazione di padre e figlio rende difficile una distinzione dell’operato, ma è plausibile che a lui si debba attribuire il progetto del primo tiburio, poi demolito, per cui si occupa dell’approvvigionamento di marmo e serizzo (Annali, II, 1877, p. 191 e p. 195). A Guiniforte vanno anche riferiti il progetto per la direzione del rifacimento in serizzo della conca del Naviglio e alcuni interventi provvisori funzionali al cantiere in corso: nel 1461 progetta una balaustra in ferro per l’altare di San Galdino (Annali, II, 1877, p. 259); nel 1465 commissiona a Cristoforo de Mottis dei pannelli lignei dipinti per il nuovo organo (Annali, II, 1877, p. 243). Nel 1467 gli è richiesto, dopo la demolizione di Santa Tecla, di sovrintendere alla costruzione di una cappella con la stessa titolazione in Camposanto, verso il Consorzio delle Quattro Marie (Annali, 1877, II, p. 259) e successivamente di seguire la realizzazione dell’altare di San Giuseppe. A lui va anche riferiti il progetto per il Coperto dei Figini (1472, 24 maggio; Annali, II, 1877, p. 276). A causa dei numerosi impegni come ingegnere ducale, una lettera ducale datata 25 settembre 1476 impone di sostituirlo con il figlio Pietro Antonio (Annali, II, 1877, p. 291).
Pietro Solari, figlio di Marco da Carona, è documentato come ingegnere in alcuni lavori per la Fabbrica, come per esempio la costruzione di un mulino in Camposanto nel 1449 (AVFDMi, Registri, 590, f. 10).
Pietro Antonio Solari, figlio di Guiniforte Solari, poco più che ventenne ottiene dal duca di Milano il permesso di sostituire il padre in Duomo quando questo risulti impegnato nei lavori ducali (1476, 26 settembre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 110; Annali, II, 1877, p. 291; 26 ottobre; ASMi, Registri Ducali, 213, f. 130). L’accettazione da parte dei deputati della richiesta del duca non va interpretata come una candidatura alla successione, ma solo come una sostituzione temporanea. Il 30 luglio 1478 i duchi confermano però la lettera ducale del 1476, ribadendo che Guiniforte e il figlio Pietro Antonio devono rimanere i soli ingegneri della Fabbrica (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 130; Annali, II, 1877, pp. 302-303). A questa ipotesi di successione, ribadita il 12 gennaio 1481 (Annali, III, 1880, p. 1), si oppongono, alla morte di Guiniforte, il Capitolo (1481, 11 febbraio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 176; Annali, III, 1880, p. 2), le maestranze del cantiere (1481, 7 aprile; ASMi, Sforzesco, 1491), ma non i lapicidi iscritti alla Scuola dei Quattro Coronati (1481, 5 gennaio; ASMi, Notarile, 3488). Pietro Antonio non è mai ufficialmente nominato dai deputati successore di Guiniforte quale ingegnere della Fabbrica e la sua attività è quindi limitata alla conclusione di alcune opere avviate dal padre, come per esempio la statua con la Madonna del Coazzone (1481-1485; Annali, III, 1880, pp. 6, 9 e 26). Ad ogni modo, la Fabbrica non assume nessun sostituto di Guiniforte fino al primo luglio 1490, quando nomina Amadeo e Dolcebuono ingegneri (Annali, III, 1880, p. 64).
Lorenzo degli Spazii [Spatiis] è documentato come caposquadra dei lapicidi della Fabbrica il 14 maggio 1389 (AVFDMi, Registri, 6, f. 168r), ed è indicato come ingegnere dal 1392 (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 43v [Cassette Ratti, 21]; Annali, I, 1877, p. 61). Egli compie vari viaggi verso le cave di marmo del Lago Maggiore (Annali, I, 1877, pp. 54, 56, 105, 159), mentre il 30 aprile 1396 ottiene una licenza per poter andare a lavorare nel cantiere del Duomo di Como (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 154r [Cassette Ratti, 24]; Annali, I, 1877, p. 163).
Gabriele Stornaloco, matematico di Piacenza, è convocato per la prima volta dalla Fabbrica il 24 settembre 1391 quando si delibera «quod parte deputatorum Fabrice scribatur Gabrieli Stornavache (sic) quod Mediolanum veniat, et sibi provideatur de mercede et expensis, prout sibi visum fuerit» (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 32r [Cassette Ratti, 21]; Annali, I, 1877, p. 54). L’attestazione del suo arrivo si trova il 13 ottobre, quando si specifica che egli è giunto a Milano per discutere con gli ingegneri della Fabbrica sui dubbi relativi all’altezza e alla larghezza della cattedrale, stabilendo un compenso di 10 fiorini per il suo lavoro e per rimborso delle spese sostenute per il viaggio (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 33r [Cassette Ratti, 21]; Annali, I, 1877, p. 55; Annali, Appendice I, 1883, p. 195). Si tratta dei noti dibattiti su un alzato ad quadratum o ad triangulum della cattedrale, nell’ambito dei quali Stornaloco presenta una relazione corredata da un disegno schematico che prevede il proporzionamento delle altezze delle volte delle cinque navate del Duomo su un sistema di triangoli equilateri (l’originale risulta oggi perduto). Jessica Gritti
Pietro Taglioretti, pittore, architetto e diplomatico, non fu mai eletto architetto del Duomo, sebbene, terminati gli studi a Roma, presentò diverse domande per essere assunto dalla Fabbrica come coadiutore di Giulio Galliori: in particolare il 24 maggio 1787, l’11 ottobre 1785, il 25 gennaio 1787 e il 16 febbraio 1787 (Annali, VI, 1885, p. 215). Al concorso per l’elezione del nuovo architetto della Fabbrica del 3 settembre 1795 gli è preferito Felice Soave (AVFDMi, Archivio Storico, 3, 25; Annali, VI, 1885, p. 234).
Pellegrino Tibaldi è nominato architetto della Fabbrica il 7 luglio 1567, dopo il licenziamento di Vincenzo Seregni, appoggia una riforma organizzativa del cantiere e opera soprattutto sugli adeguamenti liturgici suggeriti da Carlo Borromeo (Annali, IV, 1881, p. 67). Gli operai sono da questo momento pagati non più a giornata, ma a misura e stima del lavoro svolto, oppure le singole opere sono affidate con il sistema dell’incanto e nessun lapicida, intagliatore o tagliapietre può assentarsi senza la licenza di Pellegrino stesso (Annali, IV, 1881, p. 74). La prima opera affidata a Pellegrino, contestualmente alla sua assunzione, è il battistero, della cui impostazione si era precedentemente occupato il Seregni (Annali, IV, 1881, p. 71); inoltre, gli è richiesto l’impegno di dare i disegni per le vetrate (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 12). Il 24 luglio 1567 i deputati della Fabbrica stabiliscono che il pavimento sia fatto secondo il disegno di Pellegrino, ma l’esecuzione è di molti anni differita (Annali, IV, 1881, p. 71). La sistemazione presbiteriale voluta da Borromeo, comprendente la cripta o coro iemale, occupa Pellegrino tra il 1568, quando inizia la fase progettuale in cui sono consultati anche Leone Leoni e Galeazzo Alessi, e il 1570, con l’intermezzo nel 1569 delle accuse al suo operato mosse da Martino Bassi e reiterate nel 1574 (Annali, IV, 1881, pp. 82-83; AVFDMi, Archivio Storico, 189; AVFDMi, Registri, 883). In tale contesto si colloca l’invenzione del tempietto posto sull’altar maggiore a contenere, sorretto da angeli (a cui si dedica nel luglio del 1568; Annali, IV; 1881, pp. 75-76), il tabernacolo donato da Pio IV (1580, 23 ottobre; primo appalto affidato ad Andrea Pellizzoni; ASDMi, Sezione X, Metropolitana, 72). Nel 1569 Martino Bassi muove a Pellegrino accuse su alcuni interventi effettuati, in particolare sulle volte dello scurolo; le critiche di Bassi sono poi pubblicate in un volume edito a Brescia nel 1572 (Annali, IV, 1881, p. 89); segue le accuse la risposta di Pellegrino Tibaldi (Annali, IV, 1881, p.90). Nel 1571 vengono approvati dal Capitolo i disegni di Pellegrino per gli stucchi dello scurolo (Annali, IV, 1881, p. 112). Nello stesso anno si avvia la realizzazione del primo degli altari minori; dal 1572 Pellegrino comincia a fornire i modelli per il coro ligneo agli scultori, e per gli armadi e il sacrario delle sacrestia meridionale (Annali, IV, 1881, p. 125). Nel 1573 viene chiesto a Pellegrino di ispezionare il campanile e il battistero del Duomo per verificarne la stabilità (Annali, IV, 1881, p. 129). Il 12 luglio 1574 Pellegrino viene compensato con 80 scudi per i disegni degli stalli del coro ligneo (Annali, IV, 1881, p. 138). Dopo la Visita Apostolica del 1576, mentre prosegue la realizzazione del pavimento del coro (AVFDMi, Archivio Storico, 189; Annali, IV, 1881, pp. 137-138), della cinta presbiteriale e degli altari minori, è intrapresa nel 1579 la costruzione della facciata marmorea sotto il nuovo organo (Annali, IV, 1881, pp. 164-166). Dibattuta è, infine, la datazione del progetto pellegriniano per la facciata del Duomo (noto oggi attraverso le copie di Francesco Maria Richino; AVFDMi, Archivio Disegni, 205): secondo alcuni autori esso andrebbe collocato nei primi anni Ottanta, secondo altri tale data andrebbe spostata in avanti di circa un decennio e il disegno sarebbe stato inviato dalla Spagna, richiesto a Pellegrino dopo che i progetti del 1590-1591 di Tolomeo Rinaldi e di Martino Bassi non avevano convinto i deputati della Fabbrica.
Aurelio Trezzi fu nominato architetto della Fabbrica il 31 gennaio 1598 (Annali, IV, 1883, p. 325) sebbene le ordinazioni capitolari successive a questa data citino il suo nome molto raramente: una prima volta insieme a Giuseppe Meda, nel luglio dello stesso anno, per la valutazione di un’opera in metallo (AVFDMi, Ordinazioni Capitolari, 18, f. 101v) e nel 1600, insieme a Battista Pessina, per la stima di un tabernacolo realizzato da Giovanni Andrea Pellizzone (Annali, IV, 1881, p. 325). In entrambi i casi Trezzi non figura però come architetto o ingegnere ipsius fabricae (come avviene abitualmente dopo la seconda elezione del 1604), titolo riservato invece, tra il 1598 e il 1603, a Lelio Buzzi (Annali, V, 1883, p. 10). Dopo il definitivo allontanamento di Buzzi dalla cattedrale milanese, il 26 gennaio 1604, Trezzi fu nominato una seconda volta, come ingegnere della Veneranda Fabbrica (Annali, V, 1883, p. 20) e il primo aprile, il suo salario fu fissato in 10 ducatoni al mese (Annali, V, 1883, p. 21). Il 28 aprile, insieme a Pietro Antonio Barca fu presente alla stipula della convenzione con il governo milanese per la costruzione della via nuova alle carceri (Annali, V, pp. 23-24). Il 6 maggio sottoscrisse una stima del costo di alcuni edifici (AVFDMi, Ordinazioni Capitolari, 20, f. 26) a cui la Fabbrica era interessata e che furono acquistati il 10 giugno (AVFDMi, Ordinazioni Capitolari, 20, f. 33). Nei mesi successivi Trezzi si occupò di alcune questioni tecniche all’interno della Fabbrica e in altri edifici a essa legati: acquisizione di stabili (AVFDMi, Archivio Storico, cart. 252, fasc. 3, n. 240), riparazioni di un magazzino in Camposanto (AVFDMi, Ordinazioni Capitolari, 20, f. 42), stima di alcuni edifici nella parrocchia dei Santi Cosma e Damiano (AVFDMi, Ordinazioni Capitolari, 20, ff. 56v-57) e la costruzione di un edificio nella contrada delle Quattro Marie (Annali, V, 1883, p. 27), per il quale gli fu commissionato anche il modello. Quest’ultimo, approvato il 14 marzo 1605 (Annali, V, 1883, p. 28), fu però realizzato da Barca poiché Trezzi cominciava a dare segni di debolezza fisica a causa della malattia che pochi mesi più tardi lo costrinse ad abbandonare l’incarico (Annali, V, 1883, p. 34). Tra il marzo del 1605 e il 20 febbraio 1606, data in cui venne sostituito da Antonio Maria Corbetta, infatti, risulta presente alle riunioni del Capitolo solo una volta, il 25 gennaio 1606, per l’approvazione della fornitura di materiali in ferro per i lavori che si stavano eseguendo nella cattedrale (AVFDMi, Ordinazioni Capitolari, 21, f. 7 v). (Valentina Nava)
Luigi Vanvitelli, come deliberato dalla commissione per la facciata riunitasi il 22 dicembre 1744, su particolare insistenza del marchese Pallavicino e del cardinale Alessandro Albani, viene invitato a Milano per la facciata. L’invito, probabilmente non mira a ricevere un altro progetto, ma a seguire la realizzazione di quello di Antonio Maria Vertemate Cotognola e con l’intento che «se vi fosse qualche difficoltà, potesse dare gli opportuni consigli». In aprile Vanvitelli è già documentato a Milano e dedica i primi giorni del suo soggiorno a un attento studio dei disegni fino a quel punto elaborati e conservati nella sala dei deputati della Fabbrica (Annali, VI, 1885, p. 144). Il 30 aprile chiede, muovendosi con grande intelligenza, che il Capitolo gli dia almeno delle direttive su cui elaborare il suo contributo, soprattutto su due questioni fondamentali: il principio di “conformità” con la struttura gotica e la presenza del portico, da anteporre alla facciata (1745, 30 aprile; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, 60, ad datam). Nella seduta della Congregazione di Cassina del successivo 4 maggio, alla presenza del cardinale Pozzobonelli, l’architetto esprime il proprio parere, optando per una facciata conforme, “per scomoda necessità”, al linguaggio gotico col quale era stato costruito l’edificio e per la presenza di un portico (AVFDMi, Archivio Storico, 432, 1, 6; Annali, VI, 1885, p. 144). Impegnato per «molti giorni» nel rilievo delle «dimensioni del Domo» e delle «parti più principali dell’ornato di esso», Vanvitelli giunge a una prima ipotesi progettuale. Un disegno viene infatti preso in esame e approvato prima dalla Commissione per la facciata e poi dal Capitolo il 25 dello stesso mese, con la sola riserva di qualche ritocco «in rebus accidentalibus». La versione definitiva del progetto vanvitelliano è elaborata entro il 20 giugno 1745, come riferisce lo stesso architetto nelle sue Risposte ai Riflessi del Croce (datate 20 aprile 1750) ed è preceduta da un sopralluogo presso le cave di Baveno e Ornavasso nei primi giorni dello stesso mese (AVFDMi, Archivio Deposito, Candoglia, 28, 25; Annali, VI, 1885, p.145). Nella seduta del 30 giugno 1745 il Capitolo, infatti, ha sottomano il disegno in grande del progetto, per il quale a Vanvitelli vengono complessivamente saldate 6000 lire entro il 3 luglio del mese successivo (AVFDMi, Archivio Storico, 169, 16). Ancora l’8 luglio sul libro di spese sono registrate altre uscite per «una mostra d’orologio nuova in cassa d’argento e sopracassa e sua catena data in dono al signor Antonio Rinaldi che aveva con sé l’architetto soddetto Vanvitelli» (AVFDMi, Archivio Storico. 169, 16). Sempre il 30 giugno l’architetto annuncia quindi il suo prossimo ritorno a Roma e i deputati gli affidano l’incarico di curare la stampa in più copie del suo progetto, sia per l’impossibilità di trovare a Milano la carta d’Olanda adatta per l’incisione, sia per un maggiore controllo dell’esecuzione. Inoltre, gli commissionano la realizzazione di un modello ligneo della facciata che non è però mai ultimato. Il disegno della facciata viene inviato a Roma, come attesta il saldo di un pagamento datato 12 agosto 1746 per il «porto del dissegno della facciata del Duomo, mandato a Roma all’architetto signor Vanvitelli», ed entro il 20 maggio 1750 viene rispedito a Milano (AVFDMi, Archivio Storico, 169, 16; Annali, VI, 1885, p. 145). Contemporaneamente, una copia del progetto viene messa a disposizione dalla Fabbrica del Duomo per essere esaminata da alcuni ingegneri milanesi: Antonio Quadrio, che esprime le proprie osservazioni in data 31 agosto 1745, e Francesco Croce che redige un corposo fascicolo di obiezioni, i Riflessi, datati 10 settembre 1745 (Annali, VI, 1885, p. 155; AVFDMi, Archivio Storico, 169, 16). Nell’ottobre successivo un disegno viene puntualmente consegnato a un terzo architetto, Carlo Giuseppe Merlo, che nonostante i ripetuti richiami non fa mai pervenire le proprie osservazioni sul progetto. Nel frattempo, i deputati della Fabbrica deliberano la rimozione delle parti angolari della facciata, realizzate secondo progetti precedenti, e incoerenti con il nuovo disegno vanvitelliano; tale operazione viene ostacolata dal Capitolo, su consiglio di alcuni ingegneri interpellati riguardo al progetto per la facciata, tra cui uno “di Torino”, probabilmente Bernardo Vittone (Annali, VI, 1885, p. 147). Nella seduta del Capitolo del 30 giugno 1745, oltre a citare l’incisione su rame del disegno in grande del progetto vanvitelliano da far eseguire a Roma, si parla della realizzazione di un secondo rame in picciolo, dal quale si sarebbero ricavate stampe di formato ridotto, precisando che si sarebbe potuto trattare con qualche privato dandogli in concessione «ius imprimendi et vendendi copias eiusdem aramini “in picciolo”» (AVFDMi, Archivio Storico, 169, fascicolo 16). Le risposte di Vanvitelli ai Riflessi datano 20 aprile 1750, cinque anni dopo il primo progetto e sono trasmesse al Capitolo l’8 aprile 1751. Gli stessi deputati sembrano disorientati di fronte ai tanti Dispareri prodotti in meno di due decenni, tanto da deliberare che: «riguardo alla richiesta dell’architetto Croce di avere una copia della riferita risposta [quella di Vanvitelli] essi congregati deliberano che per ora non gliela si dia, al fine di non alimentare nuove superflue dissertazioni» (1751, 15 giugno; AVFDMi, Archivio Storico, 433, 2; Annali, VI, 1885, p. 157).
Giorgio Vasari non è legato da nessun documento alla Fabbrica del Duomo, se non per le notizie contenute nelle Vite e per una copia della planimetria del Duomo (disegno oggi conservato nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi (inv. 4775A) tratta dall’edizione del De Architectura curata da Cesariano (Como, 1521, f. XIVr).
Bernardo da Venezia [Jacomelus de Veneziis] è documentato per la prima volta nel settembre 1391 in occasione della sua chiamata a Milano «a fare diverse fatture per la fabbrica» (Annali, I, 1877, p. 54). Successivamente è coinvolto nella riunione del primo maggio 1392 quando, assieme a Giovanni da Ferrara, Zanello da Binasco, Stefano Magatti, Giovannino de Grassi, Giacomo da Campione, Simone da Orsenigo, Pietro de’ Villa, Heinrich Parler («qui non consensit»), Lorenzo degli Spazii, Guarnerio da Sirtori, Ambrogio da Melzo, Pietro da Cremona, Paolo degli Osnago, sono affrontati alcuni problemi strutturali e formali (Annali, I, 1877, p. 68). Nello stesso anno Bernardo da Venezia è indicato come «sculptore figurarum de ligno Papie comorante» e gli è commissionata una scultura della Vergine con il Bambino da collocare sull’altare del Duomo «pro maiori devotione ibidem occurentium» (1392, 1° settembre, AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 55r [Cassette Ratti, 22]; Annali, I, 1877, p. 82). Infine, l’8 maggio 1400 Bernardo da Venezia sottoscrive con Bertolino da Novara una relazione in cui propone, per una maggiore solidità strutturale dell’edificio, di trasformare le navate laterali in cappelle e di realizzare una nuova cappella alle spalle dell’abside (Annali, I, 1877, p. 213). Le proposte contenute nella relazione di Bernardo e Bertolino, con quelle espresse da Jean Mignot, sono poi affrontate in due successive riunioni nel 1401: il 10 aprile (Annali, I, 1877, p. 229) e il 10 luglio quando è discussa la questione relativa alla «capelle que asseritur construi debere post cullatam ecclesie» (Annali, I, 1877, pp. 230-231).
Antonio Maria Vertemate Cotognola nel settembre del 1732, quando Juvarra conferma il suo interesse per un’idea in forme gotiche per la facciata del Duomo, presenta per primo un nuovo progetto di cui l’Archivio della Fabbrica conserva tre disegni (AVFDMi, Archivio Disegni, 170, 170/1, 220). Nel 1735 gli è negata dal Capitolo la restituzione dei suoi disegni del suo progetto (Annali, VI, 1885, p. 125). Proprio nel 1737, quando la Fabbrica delibera la retribuzione dell’architetto per i medesimi disegni, Cotognola muore improvvisamente; la somma di lire 750, riconosciuta dal Capitolo, viene così percepita dalla moglie (Annali, VI, 1885, p. 129). Nello stesso anno l’ambasciatore milanese Visconti presenta prima a Clemente XII e poi a Nicolò Salvi i disegni del fu giovane architetto, ottenendo dall’architetto romano un parere favorevole, ma non la disponibilità a venire a Milano per realizzarlo (AVFDMi, Archivio Storico, 3, 17bis). Nel luglio 1739 il Capitolo decide così di adottare l’idea di Vertemate Cotognola (Annali, VI, 1885, p. 133); tanto che, i successivi inviti a Salvi (1744) e a Luigi Vanvitelli, (1745) vanno proprio nella direzione di chiedere piccoli suggerimenti o miglioramenti a questa soluzione progettuale (Annali, VI, 1885, p. 145).
Baldassare Vianelli [detto il Padovano] è assunto nel ruolo di architetto aggiunto («moderno ingeniario») in aiuto di Cristoforo Lombardo il 21 aprile 1539 su indicazione di Domenico Sauli (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, IX, f. 173; Annali, III, 1880, p. 272). L’8 maggio seguente il suo salario è fissato in 24 lire mensili e 6 brente annue di vino (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, IX, f. 175; Annali, III, 1880, p. 272) ed è documentato già al lavoro con Lombardo al modello della porta verso Compedo, presentato l’11 agosto 1540 (Annali, III, 1880, p. 275). Il 5 giugno 1542 gli sono concesse «modia duo sicalis amore dei» (Annali, 1880, III, p. 280). Nello stesso anno i mastri registrano per l’ultima volta il suo stipendio per soli cinque mesi per un totale di 60 lire (12 lire mensili). Contemporaneamente è stipendiato come ingegnere della Regia e Ducale Camera dal 1540 al 1549 (ASMi, Autografi, 86, 58), con uno stipendio nel 1549 di lire 400 annue (ASMi, Registri di Cancelleria, XXII, 8). Nel 1553, dopo la rovina di uno dei bastioni da poco realizzati a Pavia, Vianelli è indicato come l’estensore del progetto dell’opera (ASMi, Militare, 367).
Carlo Francesco Villa il 13 dicembre 1733 offre al Capitolo della Fabbrica una prima idea per la facciata del Duomo, impegnandosi a perfezionarla così da preparare un’incisione e, in caso di parere favorevole, elaborare un modello ligneo nella stessa scala del modellone (AVFDMi, Archivio Storico, 169, 11), ossia il grande modello ligneo della cattedrale oggi conservato presso il Museo del Duomo.
Cesare Villa compare nel cantiere nel 1564, come giovane lapicida, tuttavia viene nello stesso anno cancellato dall’albo dei tagliapietre del Duomo a causa dei dissesti economici vissuti in quegli anni dal Capitolo della Fabbrica (Annali, IV, 1881, p. 55). Nel 1577 è riammesso, con Melchiorre Zanobio, nel registro delle maestranze attive nel cantiere del Duomo (Annali, IV, 1881, p. 157). Nel 1599, come capomastro, si impegna nella redazione di un progetto per la facciata, non ancora riconosciuto dagli studiosi, per il quale è pagato nel febbraio del 1599 (Annali, IV, 1881, p. 333). Villa compare più volte nei documenti riguardanti la Fabbrica, sempre con il ruolo di intagliatore: nel 1594 ottiene l’appalto per l’altare di San Giuseppe che porta a termine solo dopo il 1606 (Annali, IV, 1881, p. 303).
Pietro Villa ottiene la qualifica di ingegnere quando, il 18 gennaio 1394, è chiamato in causa per gli errori commessi nella realizzazione delle volte della sacrestia con i maestri «Laurentinus Donatus, Guarnerius de Sirturi e Beltraminus de Orsanigo» (AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 80v [Cassette Ratti, 22]).
Bernardo Antonio Vittone presenta due nuovi progetti per la facciata il 30 aprile 1746, che sono definiti genericamente «opera di un ingegnere di Torino» (Annali, VI, 1885, p. 147). Nella stessa seduta del Capitolo vengono respinti e il loro autore remunerato per il contributo prestato alla questione della facciata. Vittone nel 1766 decide di pubblicare i disegni con un breve commento nelle Istruzioni Diverse concernenti l’officio dell’Architetto Civile date alle stampe a Lugano per i tipi degli Agnelli.
Bernardo Zenale, pittore e architetto, nel 1519 è nominato responsabile della costruzione del nuovo modello ligneo (1519, 19 e 26 maggio; Annali, III, 1880, p. 209 e p. 214), affiancato nell’opera da Cristoforo Solari (1520, 4 giugno; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, VII, f. 60). Il suo salario era stato fissato in 16 lire al mese dal 20 dicembre 1520 (Annali, III, 1880, p. 214). Nell’agosto 1522 succede ad Amadeo come ingegnere della Fabbrica con uno stipendio di 10 fiorini (Annali, III, 1880, p. 230). Muore il 10 febbraio 1526.